Inizio inverno 2021 / 22

Sbregoretex e Ru Cortoz – Domenica 26 Dicembre 2021

X-Ice Park – Ceresole – Martedì 28 Dicembre 2021

Salto del Nido – Martedì 11 Gennaio 2022

Quest’anno l’inverno, almeno fino ad ora, ovvero metà Gennaio, è decisamente diverso da quello dell’anno scorso. Anche se non ho scritto nulla sul sito a riguardo, l’inverno scorso ho fatto delle bellissime sciate, e non poche rispetto ai miei standard, vista la gran neve che è arrivata anche a quote basse. Come sempre però non si riesce a far tutto, quindi è stato un anno di poche cascate salite, solo 3 per la precisione (il solito Salto del Nido, Romilla e Merdarola in Val Masino, queste due belle e che non avevo mai salito!).

In questo inverno invece di neve ne è arrivata non poca verso l’8 Dicembre ma, giusto il tempo di fare una pellata al limite della raschiata di sassi, poi in zona non ha più nevicato in modo consistente! Le due volte in cui sono andato ad arrampicare al Sasso Pelo, col Monte Bregagno di fronte, con pochissima neve e quasi tutto verde, mi sono fermato spesso a pensare che, l’anno scorso, era tutto bianco e avevo salito il Bragagno in una bellissima giornata invernale!

Beh, se non vado a sciare e sull’arrampicata non mi sento particolarmente in forma, conviene cercare di salire qualche cascata carina. La stagione non è sicuramente delle migliori, ogni tanto ci sono delle ondate di caldo, ma nemmeno eccessivo in realtà, e le poche cascate formate rimangono, si può scalare senza problemi se si vuole.

Dopo la prima giornata su “Corvo nero”, in cui il ghiaccio non è che fosse così abbondante, a parte il tiro più verticale, mi riscatto il giorno di Santo Stefano in Val d’Ayas. La meta sono le belle e vicine Sbregoretex e Ru Cortoz. Per me nulla di nuovo, in quanto è la terza volta che salgo per farle, ma davvero le ricordo poco visto che l’ultima mia ripetizione è del 2017.

Sono con Smara e Pelo, per loro invece è la prima volta qui. Ci troviamo con relativa calma a Milano e poi via per la Val d’Ayas. Dopo una pausa caffè che ci sveglia non poco arriviamo al parcheggio e si parte sul comodo sentiero. Di neve ce n’è poca e più nelle valli che sui pendii laterali, non si sfonda per nulla. Mi ricordavo il primo pezzo senza tanta salita e poi l’ultimo lungo coinoide finale, davvero stancante. Io poi tengo una buona andatura perché vedo un’altra cordata che ci segue e voglio arrivare per primo alle cascate!

Delle due cascate, che sono a 50 metri una dall’altra, quella di destra è la più continua, mentre in quella di sinistra è notevole il tiro della Diretta. Il mio piano, per oggi, sarebbe di iniziare da quella di destra e poi, una volta coi muscoli caldi, salire la diretta.

Detto fatto, mi armo di corde e materiale e parto sul primo tiro di quella di destra, facendo 60 metri filati fino alla sosta, comprensivi di un paio di bei muretti di ghiaccio bagnato e morbido. Si sale bene oggi e non mi sento per nulla male sulle picche. Mi raggiungono i soci, prende il comando Pelo che sale la seconda nostra lunghezza, con un altro bel muretto verticale. Dalla sosta si vede ora benissimo il pezzo finale del Cervino, non me lo ricordavo così grosso!

Dalla seconda sosta c’è un canale di neve che porta sotto all’ultimo saltino finale, più facile e corto rispetto ai tiri sottostanti. Lo sale Smara senza problemi, peccato che non ha trovato una lunghezza un po’ più continua dove ingaggiarsi un po’ di più.

Scendiamo velocemente in doppia e scambiamo due parole con l’altra corda, che ha salito la cascata di sinistra e ora sta salendo su quella di destra.

Tempo di tornare agli zaini, bere e mangiare qualcosa, e sono già alla base del tiro più difficile della giornata, ovvero la diretta di Sbregoretex. Avevo già salito il tiro anni fa, con Giovanni, trovandolo non così difficile e molto bucato: anche oggi sembra in condizioni simili.

Dopo i primi metri tranquilli mi aspetta subito un bel muretto che mi ghisa non poco e faccio picchiando con delicatezza, il ghiaccio è abbastanza cotto e si spacca tutto se piccozzo forte! Esco dal muro con decisione e mi porto alla base del pezzo difficile successivo. Qui, anche se la partenza è in strapiombo, sono tutti agganci e si sale bene, ma pian piano le braccia si riempiono! Come esco dal verticale tiro un grido di sollievo e di avviso per gli altri, in quanto sono fuori dalle difficoltà. Ultimi metri in sosta e recupero i soci, contenti anche loro di aver salito questo bel tiro!

Io sarei anche a posto, per la giornata, e lo dico ai compagni. Pelo però si offre per fare l’ultima lunghezza di Sbregoretex, per cui si arma di corde ed inizia a salire. Sale bene inizialmente, poi pian piano la velocità diminuisce e ci mette non poco a recuperarci, dopo aver steso tutta la corda a disposizione. Quando saliamo capiamo il motivo: il pezzo finale della cascata, anche se di grado facile, è di ghiaccio completamente secco e vetroso, si fanno lenti ad ogni piccozzata ed il tutto è molto faticoso!

Un paio di doppie e siamo alla base, questa volta pronti per fare gli zaini e tornare alla macchina, arrivandoci anche al buio.

Nemmeno il tempo di mettere ad asciugare la roba e, due giorni dopo, sono in direzione Valle dell’Orco per una giornata all’X-Ice Park di Ceresole. In questa bella struttura ero stato diversi anni fa, ma era da tanto che non ci mettevo piede. L’ultima volta era stato un viaggio con la speranza di picchiare qualche colpo sul ghiaccio, speranza diventata poi l’occasione per fare un’ottima doccia gelata… Ricordo ancora che, da pivello, non avevo portato il cambio e, soprattutto, ero ancora nel periodo in cui vestivo con capi assolutamente non tecnici. Beh, dopo la giornata su “ghiaccio”, ci eravamo fermati ad un bar sul ritorno. Quando mi sono alzato dalla sedia, per andarcene, c’era una bella pozza d’acqua sul sedile, ero ancora completamente fradicio e mi sono asciugato solo a casa! Vabbè, lasciamo perdere…

La giornata non è, a livello di meteo, delle migliori. Nevica la mattina e piove il pomeriggio, ci infradiciamo un poco tutti e soprattutto di umore, ma di ghiaccio ce n’è e anche buono. Non è proprio uguale a quello che mediamente si trova in cascata ma è pur sempre ghiaccio, e allenante anche!

Noi siamo in 4 ma ci sono anche tante altre persone, quasi una trentina, ma non c’è affollamento particolare, le linee salibili sono una quindicina. Quello che mi stupisce è che, anni fa, quasi tutti arrivavano e calavano le corde dall’alto, scalando da secondi tutto il giorno, e pochissimi scalavano da primi. Ora invece è praticamente il contrario, e tante persone arrivano e si “scaldano” su un tiro che, a vedere dal basso, potrebbe essere tranquillamente almeno un grado 5. Boh, o si è alzato il livello medio oppure sono capitato in una giornata particolare, con gente mediamente forte su ghiaccio.

Detto ciò, salgo a mettere dall’alto una corda e faccio qualche salita da secondo. Il ghiaccio è tutto agganci ma non è che mi senta così splendido oggi di braccia: sul primo tiro quasi mi si aprivano le mani, e sono da secondo!

Improvvisamente si libera la linea del candelone, non l’unico presente ma il più evidente quando si arriva in questa falesia di ghiaccio. Scende da uno strapiombo della roccia, avrà un diametro di un metro almeno, ed è “aiutato” da cavi di acciaio inglobati nel ghiaccio. Mi ricordo che, da secondo e con le picche dritte, l’avevo salito quasi senza problemi già la prima volta in cui ero venuto qui, uno dei primi anni in cui facevo ghiaccio. Ora però, da primo e con i muscoli che non sembrano così buoni, è un’altra storia, ma ho voglia di mettermi alla prova e capire se un po’ di esperienza è venuta fuori in questi anni.

Qualche respirone alla base e parto. Dopo i primi metri mi stupisco di essere ancora così tranquillo, è vero che sono tutti agganci ma è verticale e non sto facendo ancora nessuno sforzo. Pian piano però inizia ad esserci qualche allungo o passo boulderoso, per arrivare poi a girare verso destra su una zona molto più fisica. Qui la ghisa inizia a farsi sentire ma riesco a gestirla davvero bene con la testa, trovo impressionante quanto questa possa fare su ghiaccio! Far capire alle mani che non devono stringere troppo le due piccozze è una cosa facile a dirsi, molto meno a farsi, e che io ho imparato solo nel corso degli anni a fare.

Anche se ci metto non poco, le braccia comunque non sono così toniche come avrei sperato oggi, pian piano arrivo in cima, dopo un’uscita su ghiaccio cotto e magro che mi tiene col fiato sospeso. Sono contentissimo di aver salito bene questi 30 metri ed è uno di quei momenti in cui penso di aver fatto giornata!

Fra la pioggia e la stanchezza, salgo ancora qualche tiro da primo e da secondo, rifacendo il candelone ma non da primo questa volta, finché ne abbiamo abbastanza e ci fiondiamo a cambiarci in macchina, pronti per tornare e tutti contenti della giornata.

Ultimo capitolo di questa puntata, il classico Salto del Nido. Dico classico perché ormai lo percorro (e volentieri) tutti gli anni, con questa sono 11 ripetizioni, e praticamente solo queste ripetizioni costituiscono un decimo delle mie cascate salite! Di più, l’ho percorso praticamente sempre con soci diversi, contando si tratta di 13 soci in 11 ripetizioni!

Il giorno della ripetizione è un martedì, mio giorno libero da scuola. Arrivo il lunedì però senza capire se riesco a salire una cascata (ne avrei davvero voglia) e con chi. Finalmente riesco però ad organizzare con Nicola, soprannominato Alaska per il fatto di aver vissuto diversi anni appunto in Alaska. E’ da anni che lo conosco ma mi è capitato solo di andarci assieme in falesia. Mi aveva detto già da diverso tempo che gli sarebbe piaciuto fare qualche cascata (in Alaska ne saliva non poche), ma non è ancora capitata l’occasione per andarci davvero.

Detto fatto, mi ritrovo alle 6:30 con lui, passiamo a Lecco a prendere Matteo, suo collega di lavoro e fotografo (merita una visita il suo sito), che non conoscevo ancora di persona. Fortunatamente guida lui, dico per me, perché sono davvero cotto: ho dormito poche poche ore e, in più, è una giornata in cui ho davvero mille pensieri per la testa, una giornata in cui vorrei solo essere su Marte ma, in fin dei conti, so che fa solo bene alzare le chiappe da casa e andare un po’ per i monti. L’unica mia preoccupazione è che, per Alaska, la cascata è la prima da un po’ di tempo e non se la sente di andare da primo, e Matteo non ne ha salita ancora una così difficile, per quanto difficile possa essere il Salto del Nido per gli standard attuali. Beh, il tutto per dire che oggi tocca a me tirare e spero davvero di non ragliare e di non rovinare la giornata agli altri!

Ci siamo trovati con relativa calma e quindi non arriviamo prestissimo al parcheggio ma, come immaginavo, non c’è nessuno oltre a noi, così come non avremo compagnia sulla cascata. Partiamo a camminare, in tre non è mai male su cascate, il peso sugli zaini si alleggerisce non poco, e in più ci si fa compagnia in sosta mentre il primo vede (quasi) sempre i sorci verdi per salire il tiro, sentendosi un alieno in quel momento, mentre magari i due sotto si sentono ridere e parlare… In più poi Matteo è un fotografo, forse questa volta viene fuori qualche foto carina, anche se comunque lui si troverà sempre più in basso rispetto a me!

Qualche parola la scambio con Matteo, che ora vedo in faccia bene con la luce e all’aperto, ma menomale che c’è anche Alaska che tiene viva la conversazione, io mi sento davvero spento! Lo dico anche a Matteo, ad un certo punto, che di solito sono sì riservato di carattere e non tanto espansivo, ma chiacchiero un po’ di più normalmente! Giusto per fargli capire che non deve considerarmi più strano di quanto lo sia in realtà.

Di neve ce n’è abbastanza poca in giro ma, comunque, la Val Febbraro è bianca. Procediamo bene sul sentiero, il solito canale finale è faticoso, ma finalmente arriviamo alla base della cascata. Non è sicuramente uno degli anni in cui l’ho vista più gonfia, anche perché siamo ancora ad inizio stagione, ma sicuramente la cascata è ben formata e sembra anche esserci bel ghiaccio. Non ha nemmeno nevicato di recente, cosa positiva perché, nei pezzi meno inclinati della cascata, si tendono a fare delle bruttissime croste da neve che bisogna pulire per forza per salire.

Dopo un attimo di preparazione, sia per non raffreddarmi io che per non far aspettare tanto gli altri, prendo le corde e mi porto all’inizio del ghiaccio. Ormai la cascata la conosco. Il primo tiro è sempre lungo e facile, nei due tiri successivi c’è qualche muretto ma, scegliendo il percorso che si vuole, si possono mantenere difficoltà contenute, per arrivare poi al muro finale, che consente solitamente diverse linee di uscita. Dalla più facile a sinistra, che non sempre si forma, che sarà sul 3+, alle solite uscite centrali, con difficoltà dal 4 al 5 anche a seconda degli anni.

Come detto, il primo tiro scorre veloce, devo solo stare attento a non battere troppo perché il ghiaccio è molto vetroso e si spacca non poco. Dopo 60 metri sosto e recupero gli altri. Parte Alaska che, avendo dei bei muscoli, inizia a battere non poco. Vedo delle grosse lenti volare a quasi ogni movimento, cavoli se sta picchiando! In realtà poi, dal secondo tiro, tutto fila molto meglio, gli mancava un po’ di confidenza col ghiaccio. Sale anche Matteo e mi raggiungono in sosta contenti e si scambiano le impressioni sul bel tiro. Mi fermo a pensare “davvero è un bel tiro, nel senso che lo è stato anche per me?”. Non so, oggi proprio sono in una mia bolla, ho pensieri fissi ad altro e si levano solo quando scalo da primo, e soltanto in quei momenti. Appena sono in sosta calmo torna tutto. Beh, non resta che ripartire allora!

Il secondo tiro cerco di farlo più corto per evitare di far raffreddare gli altri, salendo poi su una bella striscia di ghiaccio morbido e bagnato, una goduria! Stessa storia della sosta sotto, così parto subito per il terzo tiro. Dopo i primi metri, in cui arrivo sotto ad un muretto che fa presupporre un po’ di fatica, preferisco svicolare sul facile a destra; ci sarà comunque lo stesso da fare fatica sull’ultimo tiro!

Dopo 60 metri esatti arrivo alla base dell’ultimo tiro in un grottone di roccia riparatissimo dal ghiaccio dell’ultimo tiro, non male come sosta! C’è anche il pavimento completamente piatto…

Mentre salivo il tiro precedente mi ero guardato per bene il muro finale, individuando le linee possibili di salita, soprattutto perché, dal grottone, non si vede nulla del tiro successivo. I miei compagni infatti rimangono stupiti quando dico di uscire sulla sinistra (faccia a monte) rispetto alla grotta e non sulla destra! A destra infatti sembra un poco più facile la salita, e qui in parte visibile, ma il ghiaccio è tutto a granatina e la doccia è assicurata.

Se devo essere sincero poi non sono per nulla convinto del tiro finale, è una di quelle occasioni in cui vorrei preparare direttamente l’abalakov e scendere senza problemi (anche se poi sicuramente mi pentirei di non averci provato). Penso che oggi la testa giocherà un brutto scherzo sul tiro più difficile e che farò una gran ragliata per salire in cima!

Traverso un paio di metri, passando anche in mezzo ad un buco di ghiaccio, e mi porto alla base del primo muro. Bah, la convinzione non c’è ancora. Guardo se si può traversare ancora a sinistra e trovare qualche altra strada più facile ma sembra che la più facile sia salire in verticale, a questo punto. Dopo qualche attimo inizio a piantare la prima vite e, come non detto, prima che il filetto prenda, mi sfugge di mano e cade all’indietro. Mi giro di scatto imprecando e la vedo rimbalzare e cadere alla base. Con il fatto che ci sia poca neve e soprattutto già trasformata, non si infossa nemmeno all’attacco e, anzi, la vedo direttamente alla base! Mi è andata bene… A parte questo, riesco a piantare la seconda vite, anche se ho paura che mi cada o che mi cada addirittura una piccozza!

Ancora qualche attimo per pensare “dai, vai su, è inutile che allunghi il brodo quando sai che devi salire” e mi dico “inizia a fare un paio di passetti e vedere di stare sui piedi bene, poi pian piano tutto viene di conseguenza”. Dettò ciò, mi sento bene già sui primi passi verticali e continuo salendo il primo muro verticale. Non sono tanti metri e, poco più sopra, c’è un bel gradinetto per riposare, quindi salgo deciso senza chiodare e mi trovo al riposo. Sono contento ma anche un po’ tanto in ghisa, aspetto di riprendere le braccia un poco e poi pianto un chiodo a destra e uno a sinistra; ora molto meglio.

Se il primo muro l’avevo affrontato d’impeto, sul secondo ci vado con un po’ più di calma e metto anche un paio di chiodi in più di quanti ne avrei voluti mettere. Pian piano esco sui gobboni finali, ultimo chiodo e agguanto le radici che mi portano all’abete di sosta.

Finalmente sono in cima in uno stato non apatico, come nelle soste sottostanti, ovvero contento! Recupero i compagni, che mi fanno i complimenti, e giù in doppia per la cascata: la sosta finale non è proprio il massimo della comodità per stare a riprendersi un attimo. Scendiamo con le solite 3 lunghe doppie, per le prime due arrivo proprio a pochi metri dalla fine delle corde e costruisco l’abalakov sul ghiaccio migliore che trovo intorno. Scendiamo senza problemi, alla base recupero in un attimo il chiodo caduto, che fortunatamente non ha nemmeno le frese danneggiate, pausa per sistemare il materiale e mangiare e bere qualcosa, e siamo già di ritorno a piedi.

Se, la mattina, mi ero chiesto a che ora saremmo potuti tornare, dal Salto del Nido tendenzialmente ho provato a tornare sul presto ma anche quasi col buio, scopro che siamo andati abbastanza veloci e poco prima delle 18:00 sono già a casa.

Anche se, come già detto, l’ho percorsa diverse volte la cascata, ogni volta le condizioni e i soci diversi fanno sì che sia una nuova e bella esperienza! E, fra tutto, personalmente mi sta piacendo sempre di più vedere come sto scalando su ghiaccio, anche e soprattutto per la giornata davvero particolare, piena di pensieri, in cui tutto avrei pensato tranne di scalare bene!

Speriamo di poter ancora salire qualche bella cascata, ne avrei proprio voglia. E, magari, trovare anche un giorno in cui sono tranquillo di testa e di braccia per spingere un poco di più delle ultime volte.

Finisco con un pensiero. Il Salto del Nido, come cascata, sarebbe la mia 98-esima giornata su ghiaccio. Non è la mia 98-esima cascata, perché in alcune giornate ho provato a salirne più di una (vedi quelle in Val d’Ayas scritte sopra), né rappresentano 98 cascate diverse, ma appunto 98 giorni che ho passato su ghiaccio nella mia carriera, a partire da quando ho iniziato a scalare, nel 2009. Non sono assolutamente un amante delle statistiche fine a se stesse: il traguardo delle prime 100 vie, ad esempio, nemmeno mi è venuto in mente quando sono ci sono passato, così come qualche traguardo sul numero dei tiri in falesia o tiri in generale (così ad occhio, sicuramente ho passato i 1000 ma sono ancora sotto ai 10000, traguardo penso lontano lontano o irraggiungibile forse). Segno però le mie giornate in montagna (qualunque cosa, dalla camminata alla via in quota, ai tentativi, alla falesia,…) su un quaderno, specificando cosa ho fatto e qualche impressione. I primi anni scrivevo non poco, ora molto meno, visto il meno tempo a disposizione e il fatto che, nel tempo disponibile, preferisco scrivere qualcosa su questo blog che tanto sul diario. Accanto a questo quaderno ho un file Excel in cui riporto l’elenco delle salite che faccio, ovvero le vie, le cascate, le salite in quota,… con qualche dettaglio tecnico, la data, i compagni e un veloce commento di una riga. In questo elenco non finiscono le escursioni e le falesiate: avevo tentato (ed è presente ancora) di utilizzare una scheda dove inserivo i tiri più duri saliti, ma non l’ho più compilata, dopo la prima volta che l’ho scritta.

Tutto ciò per dire un paio di cose. In primis il mio CV Alpinistico (così ho chiamato la tabella) è un po’ la memoria della mia storia in montagna, tanti dettagli andrebbero persi altrimenti. Basti pensare che, per vie magari non estreme per il mio livello, di cui poi il ricordo svanisce più velocemente, e percorse diversi anni fa, ho provato a rifarle e non ricordare nemmeno un centimetro della via, una volta saliti tutti i tiri! Chissà fra 20 anni ad esempio cosa ricorderò. Non mi capita mai di rileggere il CV Alpinistico o il diario di montagna (ormai sono 6-7 quaderni) tanto per rileggerli, ma ogni tanto viene fuori qualche domanda sulla tal via o parete e mi ritrovo a cercare qualche info in più fra quelle che, in realtà, dovrebbero già essere nella mia testa! Ho condiviso la tabella poi con pochissime persone, in qualche modo è un mio pezzo di vissuto e non lo distribuisco facilmente, ed in realtà solo una volta completamente. Negli altri casi si è trattato di compagni che mi chiedevano l’elenco delle salite fatte con loro e ho inviato solamente le righe delle ascensioni in questione, senza commenti poi.

Ognuno fa come vuole chiaramente, io sto solo dicendo che mi piace segnare queste informazioni, non è obbligatorio farlo e non lo consiglia il dottore. Sicuramente l’ho trovato utile per compilare le domande di ammissione per il Corso Regionale del Cai e per il Corso Nazionale del Cai (di questo parlerò prima o poi, visto che non l’ho ancora finito), avendo già tutto segnato e non dovendo rivangare nei ricordi e chiedere ad altre persone dettagli. E, a parte questa occasione e le poche in cui viene richiesto un elenco di salite (tipo alle selezioni dei corsi guida, per le guide alpine), un elenco simile ha solo una utilità personale di memoria. Aggiungo poi che mi dispiace non aver, per un periodo abbastanza lungo anni fa (forse per quasi un anno), scritto nulla sul diario di montagna, mi sono perso completamente le attività non segnate sul CV alpinistico e quindi, ora che tanti ricordi sono difficili da richiamare, ho un pezzo di memoria praticamente perso.

Fra le persone che conosco e che frequentano la montagna, sono abbastanza poche quelle che si segnano quanto fatto, e forse di più chi va a fare qualche via, le guide alpine, i camminatori,… rispetto a chi va in falesia, che a volte segna solamente i tiri più difficili su un qualche portale sul web, tipo 8a.nu.

Un ex-collega e amico di mio padre, gran camminatore e che mi ha portato nei primi anni a fare qualche bella camminata, segna ogni volta il percorso fatto, con pochi dettagli aggiuntivi, della camminata, tenendo poi un contatore delle cime più frequentate. Non ricordo più il numero di volte in cui era salito in Grignetta ma era ben elevato il valore!

Nell’elenco delle mie salite, suddivise per tipologia, ogni voce è preceduta da un numero progressivo. Quest’anno, ammetto, mi è balzato all’occhio, per le cascate, l’avvicinarsi del numero 100, un numero che può essere ridicolo da una parte (pensiamo al buon Gian Carlo Grassi, lui in un inverno solo di cascate ne aveva salite 100, di cui tante prime ascensioni), dall’altra parte poi nemmeno così tanto. Per capirci un attimo, il primo inverno in cui ho salito una cascata è stato quello del 2009/2010, e da allora ne sono trascorsi 13, compreso questo. I primi inverni ne salivo un po’ di cascate, almeno una decina, gli ultimi invece decisamente meno, arrivando ad un minimo di 3 l’anno scorso. 100 giorni però corrispondono a poco più di 3 mesi, e vuol dire che in 13 anni ho fatto quello che, praticamente, i veri ice climber, professionisti e non, fanno in un inverno praticamente! 2 se proprio. E’ come se avessi passato un inverno intero a fare ghiaccio ma spalmato in 13 anni.

Le 100 cascate le considero un buon traguardo, non tanto per il numero in sé ma perché, nelle ultime salite fatte, mi sono sentito sempre più in confidenza con l’elemento ghiaccio, cosa che non mi era mai capitata nelle salite precedenti. Per diversi anni, salendo le colate ghiacciate, sono stato un buon ragliatore, con qualche rara giornata di grazia, ora capita molto più spesso il contrario! Mi chiedevo poi anche come diverse persone, con un grado in falesia minore del mio e teoricamente quindi meno “tenenza”, andassero più di me su ghiaccio! Questione di testa e di esperienza, come in tante altre cose…

Staremo a vedere come continuerà l’inverno, di sicuro piacerebbe festeggiare il traguardo con una bella cascatina…

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