Per un po’ basta ghiaccio… o forse no?

Salto del Nido – 03 Dicembre 2023
Diretta in Albigna – 17 Dicembre 2023
Salto del Nido – 23 Dicembre 2023
Goulotte “Amici nel Vento” e “Sfinge” al Pizzo Tre Signori – 26 Dicembre 2023
Parete Nord-Est del Pizzo di Prata – 29 Dicembre 2023

Come ormai di consueto, scrivo davvero poco sul sito, sia perché alle volte ho davvero poco da scrivere sia perché alcune salite o giornate non ho proprio voglia di metterle nero su bianco in balia di Internet. C’è bisogno di una scintilla perché mi metta a scrivere qualcosa, e devo dire l’input c’è stato e davvero notevole! Dopo la salita di fine Dicembre del Pizzo di Prata, già durante il ritorno a piedi ho capito che avrei scritto qui a riguardo, una volta smaltita la stanchezza e, soprattutto, a mente più fredda rispetto alla giornata appena passata, ovvero lasciando in mezzo qualche giorno prima di iniziare a scrivere.

Siccome è stata una giornata decisamente densa, voglio anche ripercorrere il cammino degli ultimi mesi, che hanno sicuramente contribuito a renderla in questo modo. E, naturalmente, ci sarà da spiegare anche il perché del titolo.

Tornando ormai a 3 mesi fa, ci sono stati tutti gli ingredienti per un periodo di relativa calma arrampicatoria. Dopo pochi giorni dal ritorno dal Perù, pensando di avere ancora vent’anni, in un sabato e una domenica salgo la Via del Det al Costanza e Artemisia in Qualido. Risultato: cotto marcio ma soprattutto una bella infiammazione al gomito sinistro che ci mette un po’ a passare. Il martedì poi inizia la scuola, e quest’anno sono in anno di prova, ovvero sto per entrare di ruolo! Devo dire mi è andata davvero di c**o che la procedura per la scelta della provincia e della scuola venisse a fine Luglio, pochi giorni prima di andare in Perù, altrimenti sarebbe stato un bel casino… Tornare poi sulla materia (matematica e fisica) dopo due anni di insegnamento su informatica e sostegno non l’ho trovato così banale, e i vari altri aspetti della scuola (riunioni, coordinamento di una classe, …) hanno reso il periodo bello pieno. Mettendoci i lavori in campagna, il fatto che sono diventato Direttore della Scuola di Alpinismo del CAI di Carate Brianza e i vari impegni del CAI, gli ingredienti per un periodo di particolare scarsezza arrampicatoria ci sono appunto tutti. Fra le altre cose, sono contentissimo di essere diventato direttore della scuola ma ogni tanto penso proprio che sarebbe stato davvero non male rimanere semplicemente un istruttore e aspettare solamente che qualcuno mi dicesse che via andare a fare con che allievo.

Dopo i primi risultati davvero scarsi su roccia un minimo di confidenza mi torna, ma ecco che è già arrivato l’inverno, e presto anche! Era da un po’ di anni che non iniziavo a salire cascate così presto, ad inizio Dicembre, e anzi non ho mai salito una cascata così all’inizio (3 Dicembre), ma accolgo molto volentieri la proposta di Jorge per il classico Salto del Nido, ottimo per iniziare. Ne risulta una giornata bella e tranquilla. Ci troviamo alle 7:00 in Brianza, ad orario proprio calmo, tanto sicuramente non ci sarà nessuno in cascata, e troviamo una colata abbastanza magra ma con ghiaccio bello! Come prima uscita non è male per riprendere un po’ di confidenza con ramponi e picche, anche solo per ricordarsi come preparare bene lo zaino. Manca forse un poco di braccio ma non è un problema: il tiro più in piedi, l’ultimo, non lo saliamo perché è una doccia unica e di tornare lavati come pulcini non ne abbiamo proprio voglia.

Il weekend successivo, nel Ponte della Madonna, il socio va in Albigna, che è formata e anche abbastanza presto per gli standard, visto che è una cascata che si gonfia man mano e rimane in piedi fino a primavera inoltrata. Io invece, mannaggia, passo 3 giorni a casa, e praticamente a fare nulla, per un dente del giudizio. Riesco giusto a finire in qualche modo a scuola il giovedì, per poi tornare in modo abbastanza decente il lunedì, ma i giorni in mezzo niente montagna.

La domenica successiva sono in Albigna, con Cesare, con cui condivido la salita della Diretta. Se, nei primi anni, ci mettevo una vita fra andare e tornare dalla cascata, ora partiamo da casa ad un orario più che decente e siamo di ritorno a casa alle 17:00, prima di ogni aspettativa! Rispetto ad inizio mese la temperatura è più calda, ci sono 6° al parcheggio, non proprio il massimo come clima, ma il ghiaccio sulla Diretta è buono e non ci sono festoni che cadono improvvisamente. Certo, l’ambiente non è il massimo, con continui crolli di ghiaccio sulla sinistra, dove si forma normalmente il candelone e scorre davvero tanta acqua che gonfia le stalattiti. Arriva anche un’altra cordata, quando noi stiamo salendo il secondo tiro, ma si ferma e torna indietro prima di salire il pendio finale.

In quei giorni è appena finito il trimestre a scuola e, fra la corsa degli ultimi voti e gli scrutini, ne vengo fuori abbastanza demolito, sia di fisico ma soprattutto di testa. Così, quando il 23 Dicembre vado nuovamente con Jorge sul Salto del Nido, sento che sono più cotto del solito anche solo nell’avvicinamento e ho poca testa per scalare. Jorge infatti sale senza fiatare l’ultimo tiro e io, da secondo, quasi mi si aprono le mani! Siamo tornati sul Salto del Nido perché, se ad inizio Dicembre sembrava l’inizio di un vero inverno, le condizioni per la formazione di nuove cascate si sono interrotte e c’è poco in giro, se non quello che si era già formato a Nord. Questo almeno da noi, mentre in Dolomiti si è formato un bel po’ di ghiaccio in più, anche se non è certo comodo arrivarci in auto in giornata. In più, nei giorni prima di Natale è arrivato un forte vento di Fohn, per cui il Salto del Nido sembrava l’unica opzione valida!

Nel frattempo si è diffusa la notizia della ripetizione, da parte di Simone Manzi, di una bella linea sul Pizzo di Prata, vicino a Chiavenna. In veste invernale questa via era stata salita, per la prima volta, anni fa dai fratelli Lisignoli, e il Lisignoli (Filippo) che era con me in Perù è il figlio di uno dei due. Sentendolo, mi dice che ha intenzione di andare sulla via il 26 Dicembre, a Santo Stefano. Jorge, con cui si parlava di andare a farla, mi butta lì non poche volte di attaccarci a loro, anche solo perché il Pizzo di Prata (il “Pizzone”, come è chiamato a Chiavenna) è una montagna rimasta ancora abbastanza selvaggia come sentieri e accesso.

Per me però non ci sono davvero le condizioni mie per salire questa via. Sarebbe sicuramente comodo andare a rimorchio di Filippo e staccare la testa sull’avvicinamento e la discesa, ma sento di non avere né la gamba né, soprattutto, la “testa” per dire di avere la gamba. Ovvero, so già di avere le energie e l’esperienza per una parete simili, ma se è la testa in primis a dirmi sia di non farcela sia di non aver voglia di farcela, è come darsi persi in partenza ancora prima di giocare.

Quindi? Cerchiamo almeno di rifare prima la gamba. Il 26 quindi, dopo un Natale tranquillo e, ammetto, evitando apposta di mangiare porcate e dolciumi vari, di buon ora io e Jorge siamo in direzione Ornica (Val Brembana) per salire alcune goulotte sotto al Pizzo Tre Signori, in zona della Sfinge, una particolare formazione rocciosa.

Mi sono svegliato presto ma non mi sento rintronato, almeno l’inizio non è male. Arriviamo al parcheggio con le prime luci e si parte in poco tempo. Jorge è davvero in forma e spinge in poco tempo (lui ha fatto decisamente più camminate di me ultimamente, anche salendo una volta vicino a dove dobbiamo salire, quindi sa anche senza problemi la strada), mentre io imposto subito un passo di sicuro non lento ma nemmeno così spinto. Capisco subito che, se andassi di più, arriverei cotto all’attacco. L’avvicinamento non è poco infatti, con un bel dislivello. Come saliamo Jorge mi dice che di neve ne è andata via tantissima rispetto a settimana scorsa, quando era salito, speriamo ci siano ancora le goulotte! C’è uno strato di nuvole abbastanza basse, che raggiungiamo e poi superiamo; che spettacolo la vista da sopra! Si continua a salire e incontriamo ora un po’ di neve, e il sentiero continua con un po’ di saliscendi. Io inizio ad avere le scatole piene di camminare e, ad un certo punto, quando vedo il sentiero fare ancora una discesa e salita a più di 200 metri davanti a me, senza che vedessi più Jorge, impreco mentalmente “basta camminare”! Ecco che, invece, ero praticamente arrivato alla base della parete e scopro che Jorge sta chiacchierando con 4 altre persone, in partenza per la goulotte della Sfinge! Vabbé, speravamo di essere soli.

Menomale c’è un’altra salita vicina, “Amici nel vento”, e, dopo esserci preparati e aver risalito faticosamente il canalone iniziale, dove trovo anche una banconota da 5 euro, attacco la goulottina. Non mi aspettavo niente di difficile e così è. Un piccolo nastro ghiacciato per i primi 50 metri e poi un po’ di neve dura e toppe gelate; continuo in conserva con Jorge fino a fare sosta su roccia e recuperare il socio. Solitamente mi appendo al volo ad una sosta che considero sicura ma questa, su uno spuntone appena accennato e un microfriend in una fessura tutt’altro che bella, non mi piace per nulla. Pace, basta non cadere… Parte poi Jorge fino a stendere tutta la corda e così salgo nuovamente in conserva. Lo raggiungo che abbiamo finito la via, così mettiamo in spalla la corda e scendiamo agli zaini in 10 minuti e attacchiamo la Sfinge. Le due cordate davanti a noi devono essere abbastanza alle prime armi, sono ancora a metà della goulotte (saranno circa 200 metri in tutto). Sperando non ci tirino troppo ghiaccio addosso, partiamo slegati e li raggiungiamo a breve, superandoli e arrivando nuovamente in cima nemmeno un’oretta dopo l’altra goulotte.

Inizio ad essere cotto a puntino ma Jorge propone la cima del Tre Signori, che si vede ad una ventina di minuti di cammino, quindi perché non andarci! Anche se la fatica aumenta, lo spettacolo da sopra è davvero fotonico. Io provo a tirare fuori la macchina fotografica ma poi mi spiaggio addosso alla croce per prendere fiato.

Scendiamo a recuperare lo zaino e soprattutto a bere, non ci eravamo portati nulla mentre scalavamo, e poi si scende pian piano. Sento le mani un minimo informicolate, come mi capita quando ho praticamente esaurito tutte le energie, ma quello che manca è solo la discesa. Mi dispiace di spegnermi un poco perché Jorge si mette a raccontare della sua infanzia in Ecuador, e queste storie sono sempre molto interessanti per me, ma a parte ascoltare non riesco a contribuire in un qualunque modo alla conversazione.

Torniamo alla macchina anche abbastanza presto, tappa al bar per riprendere un po’ di energie e nanna presto la sera!

Sono arrivato al 27 Dicembre quindi in questo modo. Ovvero il 27 Dicembre, naturalmente, sono un cadavere, dopo la salita del giorno prima. E, quando sono un cadavere, la stanchezza aumenta in modo esponenziale la negatività dei pensieri. Jorge vorrebbe già andare sul Pizzo di Prata il 28 ma non se ne parla, non faccio l’alpinista di professione, il 28 sarò ancora stanco e soprattutto non ho intenzione di organizzare la salita il 27, anche se poi dovrebbe arrivare a breve un po’ di brutto tempo. I pensieri si accavallano. Ovvero da una parte sono un po’ spaventato dalla salita, perché seria, e forse ho anche poca voglia di fare così fatica. Ma, d’altra parte, il periodo delle vacanze di Natale è buono, per me professore, per combinare qualcosa di bello in invernale in quota, se non ne approfitto ora quando? E, fra le altre cose, sono un po’ combattuto sul fare o non fare la salita: per il non farla c’entra anche la poca voglia, ma penso anche che dovrei salirla per dimostrare qualcosa agli altri. Ma perché poi? Cosa dovrei dimostrare a chi?

Con questi pensieri cerco di aspettare un po’ e tenere calmo Jorge, che mi chiama e scrive per sapere se ho sentito Filippo sulla strada, la via,… Una di quelle occasioni in cui si vorrebbe urlare “lasciatemi stare!!” ma conviene decisamente stare zitti e lasciarsela passare.

Si aggiungono anche altri pensieri perché rifiuto un paio di altre uscite per il 28, durante la giornata e la sera, per riposare. Eh, l’alpinismo è un’attività proprio egoistica, c’è poco da fare, e sono perfettamente consapevole che, per fare una salita, altre occasioni si lasciano da parte.

Ecco il 28 e, almeno come fisico, non è così male. Cerco di sentire Filippo a mezzogiorno ma è in giro a far cascate e tutto rimane tranquillo fino alle 17:00. Come lo sento mi dice tantissime informazioni riguardo l’avvicinamento e la discesa. La salita è la più facile da trovare, una volta attaccati è logica, ma il Pizzo di Prata è appunto ancora abbastanza selvaggio ed è facilissimo perdersi al buio, visto che sicuramente dovremo fare tutto il cammino di notte. Scrivo giù tutto su una relazione e la mando a Jorge. Non lo chiamo nemmeno, bastano due messaggi per dire di trovarsi alle 3:00 al parcheggio, tanto sicuramente ognuno porterà tutto il materiale necessario.

Sono in ballo, si balla. Però poi basta ghiaccio per un po’, per un po’ roccia calda e tranquilla, senza pericolare, senza sveglie ad orari del cavolo…

In estate, quando si sale in alta montagna e magari si è in rifugio / tenda, se ci si deve svegliare presto si mangia anche presto e si dorme presto. In inverno, e a casa, è sempre un po’ diverso. Cerco di andare a dormire alle 9:30 e, in effetti, mi addormento di botto un’oretta. C’è di buono che, nel corso degli anni, il mio corpo ha imparato a non rimanere sveglio per la tensione ma almeno approfittare per dormire davvero. Rimango sveglio una mezz’ora ancora e poi è il trillo della sveglia che mi richiama a tirarmi su. Ho davvero poco nulla da fare, ho anche preparato la caffettiera la sera prima, quindi non mi resta che fare colazione e raggiungere Jorge. Siccome al Tre Signori avevo guidato io, ora tocca a lui, e direi anche menomale. Non sono così rintronato da mettermi a dormire ma nemmeno così sveglio, anzi abbastanza muto per la tensione, ma non guidare non è male stamattina.

Siccome è molto presto non è aperto nulla per bersi un caffè e non rimane che arrivare a Prata Camportaccio e salire. Spero davvero di imbroccare anche solo la strada in macchina ma le indicazione di Filippo sono chiare e arriviamo al parcheggio verso le 4:45. Prepariamo gli zaini e si parte con la luce delle frontali. Siccome le informazioni di Filippo erano davvero tante, alcune chiaramente un po’ si sono accavallate. Mi ricordavo dicesse di tornare indietro 50 metri ma non ricordavo poi lo “scendere” alle baite, quindi quasi partiamo sul sentiero in salita. C’è però un cartello e non indica il rifugio “Il Biondo” e, soprattutto, sembra andare subito tutto verso sinistra, quando la parete è a destra. Mi sono sempre lasciato guidare dal mio “fiuto” per i sentieri ed itinerari, che davvero raramente sbaglia, e non ci penso nemmeno a iniziare a camminare. Fortunatamente prende il cellulare e vediamo che stiamo guardando nella direzione sbagliata! Il sentiero in effetti c’è, ma quello da prendere è in discesa e porta alle case, da cui le indicazioni per il rifugio sono evidenti.

Dopo una mezz’ora abbondante di cammino con pochi saliscendi siamo al rifugio, non piccolo per essere autogestito, e da qui parte il pezzo difficile del cammino. Filippo mi aveva detto di prendere il sentiero dietro al rifugio, cosa che facciamo, ma scende subito al torrente e prosegue troppo verso destra. Altro campanello d’allarme che suona in testa, un attimo a chiarirsi le idee e si torna indietro, recuperando l’altro sentiero, questa volta giusto. Iniziamo a salire su buona traccia, c’è solo la luce delle nostre frontali e, a parte il rumore del torrente, silenzio assoluto. Si intravede ogni tanto, siamo ancora in mezzo al bosco, la parete, in alto a destra, ma poi si abbassano le nuvole e non si vede più. Continuiamo sul sentiero, ora inizia ad esserci un po’ di neve e si vedono le peste dei soci passati il 26. Ad un certo punto, in un pendio senza alberi, spariscono le tracce e arriviamo ad un masso grosso. Filippo mi aveva detto di traversare ad un certo punto verso il torrente, vicino ad un masso grosso ed evidente, dove ci dovrebbe essere un ometto, ma non c’è nulla. Boh, con qualche pensiero in testa continuiamo a salire sul sentiero, che diventa più ripido, ma la parete rimane tutto a destra di noi, il torrente si abbassa e boh, ci sarà un modo per arrivare alla parete poi? Dopo 10 minuti ci fermiamo e dico a Jorge che, semplicemente, dovevamo traversare prima e non perdere le tracce. Mentalmente penso che sono stato proprio stupido, perché dovevo fidarmi prima dell’istinto. Vabbé, scendiamo, guadiamo il torrente, e saliamo per un canalone molto ripido, ghiacciato e franoso, che poi finisce in una zona piena di arbusti dove dobbiamo navigare un po’ fra le piante. Immagino che la traccia di salita degli altri sia più a destra, nel bosco, ma come mi sposto il bosco non è semplice, non c’è neve ma solo chiazze di ghiaccio, e il bosco è ripido, non è facile salire! Torno in mezzo agli arbusti e seguo Jorge, che pian piano si alza, finché non recupera le tracce vecchie e siamo sul canalone nevoso finale. La neve è dura e metto i ramponi in un attimo, mentre Jorge continua senza problemi a salire fino in alto, anche se gli scarponi entrano pochi centimetri nella neve e il canalone è ripido e scende per più di 200 metri fino al torrente!

Finalmente eccoci sotto alla parete. Filippo era arrivato una mezz’oretta prima della luce e aveva aspettato le 7:00 per attaccare la via, noi arriviamo che non mancano poi tanto alle 8:00! Menomale che un po’ di gamba l’ho fatta con Pizzo Tre Signori, altrimenti sarei già arrivato cotto marcio qui. Ci cambiamo sul pendio finale, cercando di non far cadere nulla altrimenti sparirebbe tutto nel canale sottostante, ci spostiamo sotto l’attacco a disfare le corde e Jorge mi propone di partire. Respirone e via, si inizia!

Il ghiaccio e la neve dura sono proprio buoni, la via è davvero in condizioni ottime, ma il tutto non è certo banale. Come salgo, i posti per proteggersi sono abbastanza pochi, le protezioni si mettono una ogni 30 metri praticamente. Ho quasi sfilato tutto la corda quando mi si presenta un passaggino interessante, a saltare una strozzatura, delicato perché le picche sono dentro a della neve abbastanza inconsistente. Una volta superato conviene proseguire in conserva e il primo tiro già diventa lungo sui 100 metri. Faccio sosta su due viti, una dentro tutta e una strozzata con un cordino, e recupero Jorge, che parte sul tiro di ghiaccio successivo, anche lui lunghetto e devo seguirlo in conserva. Il terzo tiro inizia con una bella cascata di ghiaccio, verticale e secco, devo tirare un paio di belle pompate di braccia per saltare fuori, cercando di non spaccare troppo ghiaccio perché sono proprio sopra il socio. Anche qui, una volta uscito parto lungo, mettendo ogni tanto qualche protezione, ma arrivato ad un posto dove fare sosta non mi convince e così continuo a proseguire. Alla fine mi è rimasto un solo chiodo da ghiaccio e sosto su quello. Fino a qui l’arrampicata non è così difficile ma molto bella e nemmeno banale, c’è da divertirsi!

Quando mi raggiunge Jorge ha un bel fiatone e mi propone di bere o mangiare, ma preferisco andare via subito! Altro tiro lungo in conserva e siamo alla base del tiro più duro, un bel diedro con dei funghi di ghiaccio. Lo sale Jorge, piantando un chiodo in zona dell’altro chiodo lasciato da Filippo, e poi ci mette un po’ ad allestire una sosta a chiodi. Come salgo schiodo tutto.

La partenza dalla sosta non è il massimo, cerco di stare più attento possibile per non cadere sulla sosta. Sembrano messi bene i chiodi ma non conviene fidarsi troppo. Una volta salito, riesco ad attraversare a destra ed andare nel canalone finale di uscita. Simone Manzi, in questo punto, non era riuscito ad attraversare perché mancava neve sulle placche ed ha tirato dritto per placche difficili da proteggere. Una volta fatta la sosta su due friends, recupero Jorge e parto per i due luuuunghi tiri finali, tutti in conserva. Sto tenendo io lo zaino e tirandomi su le corde, ammetto che mi trascino non poco per arrivare a fine via. Se, però, fino a qui, ero rimasto molto sul silenzioso, senza quasi voler fare pause, anche solo per fare foto in parete, ora inizio a stare più tranquillo. Filippo era arrivato in cima alle 14:00, noi alle 15:00 ma di margine per la discesa ce n’è ancora.

Nel frattempo siamo sbucati fuori dalle nuvole, alte e piatte, e il panorama è uno spettacolo. Come sbuco fuori dalla via mi attacco ad un resinato presente e recupero Jorge. Anche lui, come esce, mi dice “mi fermo un attimo a farti una foto?”. Io gli rispondo “ma no dai, vieni”, pensando “dai che voglio scendere, non stiamo a fare foto!”, ma mi farà un bello scatto, di me che guardo però il modo per scendere e risalire il pezzo di cresta successivo.

Scendiamo e risaliamo il saltino successivo e qui finalmente ci riposiamo 5 minuti, è il punto più alto raggiunto per oggi. Mi tolgo subito lo zaino e sistemo l’imbrago, i vestiti si erano tutti sfilati per la conserva, e finalmente mangio e bevo, stavo finendo le energie! La croce della cima è a 100/200 metri di distanza, praticamente alla nostra stessa altezza, ma in mezzo c’è una cresta non banale da percorrere. Siccome non ci dobbiamo passare per scendere, non ci passa minimamente per la testa di andarci, conviene evitare di fare tardi o bivaccare in giro, senza poi aver particolarmente materiale da bivacco. In più, non siamo vestiti leggeri ma praticamente tutti i vestiti sono lavati dal sudore, visto la tanta conserva finale.

Dopo aver divorato mezza tavoletta di cioccolato come fossero due patatine e ammirato il Badile e company sullo sfondo, si inizia a scendere. La pala finale, verso sud, è un pendio a placchette di roccia a 40/45° di pendenza, ora ovviamente tutte coperte di neve. Quindi nessuna doppia ma si disarrampica, faccia a monte, andando ancora a sforzare i polpacci già provati dalla salita. Se sommo tutte le altre volte in cui ho disarrampicato in questo modo, non penso di arrivare alla lunghezza di quando sceso ora.

La pala di discesa è molto ampia e lunga, finisce giù in mezzo alle nuvole e poi in Val Codera, quindi conviene stare attenti a dove e come si mettono i ramponi. Se ero arrivato cotto in cima, c’è voluto poco a far riprendere l’attenzione al 100%.

Fortunatamente si vedono ancora le tracce di discesa di Filippo, che rendono abbastanza veloce la discesa. Una doppia su masso per spezzare un po’ la camminata all’indietro, un attimo di girovagare per trovare come scendere sul canalone Buzzetti, e ancora si scende all’indietro! Una volta sul canale, mentre sto facendo su la corda utilizzata per la doppia, in pieno vento e con tutta la roba ghiacciata addosso, inizio ad essere davvero tranquillo. E’ ancora lunga ma siamo fuori. Ed è così, il canale scende e scende, dopo un po’ mi giro faccia a valle perché mi sembra di essere ubriaco ad andare all’indietro. Passiamo sotto le nuvole e finalmente arriva anche il momento di traversare sotto la parete e tornare all’attacco! Sono giusto le 17:00, riusciamo a fare su gli zaini senza le frontali ma poi le accendiamo per scendere. Una neve leggera ci accompagna, che poi diventa pioggerellina.

In discesa seguiamo la traccia giusta nel bosco ma è comunque ripida e non facile da trovare. L’attenzione non è così alta come in cima al Pizzo di Prata ma non è nemmeno così bassa, è davvero facile fare uno scivolone e farsi male. Solo poco prima del rifugio, quando sparisce sia la neve che il ghiaccio sul sentiero, mi calmo e sale addosso la stanchezza, così l’ultimo pezzo fino alla macchina risulta bello faticoso.

Arriviamo alla macchina verso le 19:00. Avevo mandato un messaggio a Filippo dalla cima, dove prendeva il cellulare, ma poi in basso non prendeva più, così lo chiamo per dire che siamo tornati (poi mi dirà che era un po’ preoccupato non tanto della salita ma del ritorno, per noi nuovi della zona) e, in breve, siamo tutti al bar a Chiavenna a mangiare un panino e bere una gran birra. Oggi, almeno questo, pensiamo di essercela meritata.

Era da un po’ che non vedevo Filippo e, ora che andiamo via da Chiavenna, sono le 23:00! Siamo abbastanza due zombie ma il viaggio fila liscio. Arrivato a casa riesco a trovare anche la voglia di sistemare tutto il materiale e metterlo ad asciugare, poi doccia e sono a nanna praticamente 24 ore dopo aver lasciato il letto.

E perché quindi del titolo? Basta ghiaccio per quest’inverno, basta andare nei pericoli,… Eh, è bastato essere coi piedi nuovamente per terra e una buona birra in mano, con Filippo che ha menzionato il Badile, per non capire più assolutamente nulla e pensare a come sono belle queste cose. Eravamo lì a parlare della Cassin e del Gran Diedro (recentemente ripetuto fino in cima), a guardare foto sulle linee di salita e le condizioni, con il solito entusiasmo da bambini di fronte alle montagne, consapevole poi di quanto pensassi a riguardo nemmeno 24 ore prima. Eh, c’è poco da dire. L’alpinismo in generale è bello ma è bello anche perché è faticoso e a volte un po’ pericoloso, sono tutti ingredienti che lo rendono particolare.

Siccome l’ascensione mi è piaciuta davvero tanto, ho subito scritto una relazione. La relazione della via in sé è molto chiara, basta una foto e una linea che indica la salita, ho voluto invece scrivere bene avvicinamento e discesa, che sono sicuramente la parte meno evidente di tutta la salita.

La relazione: Nord-Est del Pizzo di Prata

Detto ciò, buon anno a tutti!

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