Repentance 2.0

Domenica 29 Gennaio 2023

E’ Aprile e piena primavera (anche se un po’ più spenta del solito per la poca acqua in giro) e mi ritrovo a scrivere un racconto su una cascata. Avevo abbozzato qualche idea pochi giorni dopo averla salita ma poi ho lasciato tutto lì e ho dovuto anche andare a riguardarmi cosa avessi scritto sul diario di montagna! Per la cronaca, nel diario, che è poi un quaderno normale a quadretti, scrivo tutto quello che faccio per i monti, non come sul sito dove ormai scrivo poche volte l’anno. E, man mano negli anni, partendo dallo scrivere “poemi” su una uscita, sono passato all’essere molto stringato e raccontare solo i fatti essenziali. Beh, tutto questo per dire che, se ultimamente scrivo poche righe per ogni uscita, il racconto di questa cascata ha occupato una pagina piena, quindi merita sia scritto qualcosa anche qui!

Altra cosa, volevo chiamare il racconto “Ritorno su Repentance” ma, visto che ormai va di moda il 2.0, il 3.0 e via di seguito, perché non seguire la moda!

Premessa per ambientare la salita. L’inverno è stato direi senza infamia e senza lode per le cascate, ovvero nessun inverno super o con condizioni particolari, ma le cascate si sono formate direi bene e, se uno aveva voglia, poteva abbuffarsi di ghiaccio senza problemi. Da parte mia, sono andato in Sardegna fra Natale e Capodanno, ad arrampicare e con un caldo notevole per il periodo, e fare ghiaccio era davvero l’ultimo dei miei pensieri. Anzi, visto il livello scarsissimo nell’arrampicare, pensavo che poi avrei a malapena toccato ghiaccio nei mesi a seguire.

Ma, come molto spesso accade, l’appetito vien mangiando. Il giorno dopo l’epifania vado all’Alpe di Cortoz e, anche se mi prendo una ghisata fotonica in uscita dal candelone di Sbregoretex, torna in un attimo la scimmia del ghiaccio! E’ stato infatti molto bello rendersi conto che la testa già viaggiava bene, mancavano solo da rinforzare un minimo le braccia. Dopo una giornata in un magro Canyon di Pontresina, in cui semplicemente mi trito le braccia da secondo su ghiaccio, e un paio di volte consecutive sul Salto del Nido in Val Febbraro, è giunto il momento di puntare a qualcosa di carino, perché ormai è già fine Gennaio!

Penso subito a Repentance e che è ora di rifarla per parecchi motivi. In primis perché la cascata è bellissima e sarebbe da rifare ogni anno, ma Cogne negli ultimi anni l’ho frequentata abbastanza poco (e per altre cascate comunque, magari mai salite prima) perché non è proprio il posto più economico per salire ghiaccio. Fra autostrada e gasolio vado avanti e indietro dalla Val Febbraro direi 4 volte. Ma, siccome l’avevo salita nel 2013 e sono passati 10 anni, si può anche rifarla… Altra cosa poi, della giornata di allora avevo un gran ricordo e piacerebbe vedere se è cambiato qualcosa da allora!

Cosa rappresenta Repentance per me e per gli altri? Nel 2013 per me era stato un sogno, di quelli per cui avrei dormito poco o nulla la notte precedente, se solo avessi saputo di salirla il giorno dopo. A qualche anno di distanza la musica è un po’ cambiata, ma ve lo racconterò a breve. Per gli altri? Casualmente, nemmeno un mese dopo la mia salita, è uscito un video su proprio questa cascata.

Nel video, in cui in realtà mi aspettavo che la cordata che scalasse la cascata fosse un poco più “solida”, c’è una bella intervista ad Ezio Marlier, uno che di ghiaccio ne ha percorso davvero tanto e a livelli altissimi. Beh, Ezio, secondo me, centra perfettamente il significato della colata, ovvero che rappresenta il collegamento fra le vecchie e nuove generazioni. Ovvero, quando era stata aperta (meno di un anno dopo la mia nascita), rappresentava il massimo della difficoltà ed era stata una salita di assoluto rispetto. Ora invece risulta decisamente “facile” per gli standard di difficoltà moderni ma, al contempo, una salita di tutto rispetto per chi inizia la sua carriera da cascatista.

Ma torniamo alla mia salita. Le condizioni sono praticamente uguali a 10 anni fa. Quest’anno, per la scuola, non ho il sabato libero, e quindi la domenica è l’unico giorno del weekend per salirla. La coda sulla cascata mi preoccupa un bel po’ e rimango sul vago su chi mi chiede il programma per domenica: metto infatti anche in campo di nemmeno toccare il ghiaccio e scendere per la troppa gente. In più, se allora avevo tirato tutta la cascata da primo, così è anche questa volta! Infatti si decide assieme, con Jorge e Leo, per la cascata, ma a condizione che tiri io almeno il muro iniziale difficile.

Ed ecco arriva anche il giorno della salita. Il venerdì sono andato a nuotare in piscina ma ho avuto l’accortezza di riposare almeno il sabato pomeriggio, o comunque non andare ad arrampicare. Preparo lo zaino il sabato sera e, se pensavo di essere un po’ in tensione per la salita, in realtà sono proprio tranquillo! Sono solo un po’ preoccupato per l’eventuale coda, ma non per la fatica sulla cascata, già qui c’è una bella differenza rispetto a 10 anni fa! Peccato che, se anche mi addormento subito, la sveglia è alle 3:10 e mi alzo un po’ in botta. Mi trovo prima con Jorge alle 4:00 e poi, con un giro un poco strano, recuperiamo Leo a Sesto Calende.

Come allora, il viaggio lo trascorro un po’ in dormiveglia ma un paio di caffè fanno riprendere bene. Arriviamo ancora col buio a Cogne e il termometro scende bene, come al solito, ma non esagerato. Prepariamo velocemente gli ultimi dettagli dello zaino e si parte. In 3 si è più leggeri e, all’andata, si chiacchiera e si pensa alla giornata e non al tornare alla macchina, per cui il lungo pezzo in piano scorre proprio velocemente e bene. Passiamo sotto Patrì ed ecco che, da lontano, si intravvede Monday Money e l’ultimo pezzo di Repentance, che vista di taglio non fa impressione.

Pian piano ci avviciniamo e, come polli, io e Jorge sbagliamo l’ultimo pezzo ad una deviazione e ci accorgiamo dopo un po’ che siamo dall’altra parte del fiume! Niente, si ravana un po’ nella neve alta e sfondosa ma poi si recupera in fretta la traccia giusta e battuta. Cavoli, mi ricordavo un canalone di accesso veramente lungo da salire, ma evidentemente i ricordi si erano un po’ gonfiati nel frattempo… Vabbé, salgo e passo quasi più il tempo a controllare in alto le altre persone che ci precedono (perché ovviamente ce ne sono) piuttosto che guardare dove metto i piedi! Come mi avvicino alla cascata vedo con sollievo che praticamente tutti hanno deviato verso Monday Money, ma nel frattempo vedo salire lentissimamente una persona su Repentance e sul primo pezzo semplice del muro, che forse è un 3. Boh.

Come arrivo alla base capisco che ci sarà un po’ da aspettare, ma poi nemmeno troppo. Ovvero immagino che si farà il solito effetto “tappo” ma poi, una volta distribuite le cordate, dovrebbe andare tutto bene. Questo perché c’è una cordata che sta attaccando Repentance, di cui vedevo il primo salendo, e una cordata a 3 che attende di partire. Arrivando tutti assieme all’attacco, si dovrà aspettare un po’.

Vedo subito però che l’unica persona che è sulla cascata si ferma dopo 15 metri, prima dell’inizio del verticale. Come scopriremo poi, è il cliente di una guida, che ha fatto il primo tiro semplice. Poi inizierà la guida ad andare da primo e con due tironi lunghi uscirà velocemente dal primo salto. Nel frattempo anche la cordata a tre davanti a noi parte e fa sosta prima del verticale, senza tirare dritto. Vabbé, ho già capito che farò anche io così. Non ho voglia di aspettare troppo, e di conseguenza raffreddarmi tanto, e, ad un certo punto, faccio giù le corde e parto, sostando più a sinistra possibile nel comodo, al riparo dal ghiaccio che, ogni tanto, tira giù il cliente della prima cordata.

Recupero Jorge e Leo, aspettiamo che i secondo davanti a noi partano e poi li seguo a ruota. Traverso, mi alzo pochi metri e arrivo sul primo verticale, ma scopro che è super bucato! A questo punto, forse un po’ da sborone, grido ai miei soci “è una scala!”. E’ vero, proprio vero che è molto semplice, e salgo anche velocemente, ma dopo 30 metri di verticale con qualche passo strapiombante a rimontare dei petaloni, non è che le braccia siano proprio un fiore, devo sbrigarmi ad andare in sosta! La prima cordata ha fatto sosta in una nicchia a destra su ghiaccio, in quanto la cascata è magra e la sosta a spit non raggiungibile, mentre la seconda più in basso in mezzo alla cascata. Li supero quando sono tutti e tre in sosta e aspetto un attimo che il cliente della prima cordata vada via dalla sosta, che è proprio in una nicchia piccola e scomoda. Come arrivo mi domando subito come sarà la sosta, visto che il poco ghiaccio buono è tutto crivellato dai chiodi! In qualche modo ne attrezzo una e faccio salire i soci. In questi casi, su una sosta che mi lascia un tantino perplesso in piena cascata verticale, non dico che sale l’ansia, ma un poco sulle spine rimango…

Appena riparto sto attento ad evitare di cadere in sosta e poi respiro appena metto un chiodo buono. Faccio un tiro corto che mi porta sotto la candela finale, su sosta a spit; è inutile proseguire anche sulla candela altrimenti farei casino con la cordata davanti (la guida col cliente ha fatto un tiro unico ed è già uscita). Visto che il primo della cordata di mezzo è appena partito e siamo in 3 in sosta, aspetto a far salire i miei, per evitare di essere in 5 tutti ammassati.

Nel frattempo guardo il primo che sale sulla candela verticale. Eh, 10 anni fa era stato proprio un tiro duro per me, con traverso iniziale per andare tutto a sinistra e salire in piena candela liscia e fisica: ne ero uscito davvero cotto, nonché bagnato per la fontanella ad inizio traversata! Anche ora si vede che è tutto verticale ma chissà, questa volta magari sarà meglio. Il primo davanti sale pian piano, sghisando bene, ma poi mette un chiodo e si blocca, deve essere ben faticoso! Finalmente esce dalla visuale, sale veloce sul canale facile finale e sosta. E’ tempo di far salire i miei due soci e partire anche io!

Come al solito, parto un po’ dubbioso, sperando di non cuocermi subito. Il ghiaccio è veramente buono e facile per i primi metri, salgo senza problemi e metto un chiodo più o meno dove la cordata prima aveva messo il loro secondo.  Da qui vedo tutta la candela, di metri verticali ce ne sono un bel po’, ma è lavorata all’inizio e in più alla fine sembra fare una specie di diedrino, appena accennato. In ogni caso, conviene salire.

Mi alzo pian piano, circospetto, chiodando quando mi sembra giusto farlo, tanto al momento sono solo tutti allunghi su buchi, non c’è da picchiare nulla. La colonna si restringe, un paio di movimenti in bilanciata e sono sul pezzo più difficile. Il ghiaccio però è davvero buono e i piedi entrano bene, mi danno molta fiducia. A questo punto i dubbi pian piano iniziano a svanire e sale la concentrazione pensando che il tiro è tranquillamente alla mia portata. Sento che le braccia diventano pian piano dure ma è tutto un gioco di testa. Piccozzata, allenta un attimo la mano in alto per far riprendere il sangue, riprendi la picca e distribuisci la stretta fra le due piccozze. Appena prima di salire coi piedi, tolgo la picca sotto e la riappoggio nel buco dove era, in modo che poi esca sicuramente quando ho bisogno di alzarla. Alza quindi bene i piedi, poi la piccozza e picchia sopra, e continua il giro. Nella parte centrale non dico che chiodo al metro, ma di chiodi ne metto non pochi, poi man mano allungo la distanza e, verso la fine, quando vedo il termine del verticale, decido di stare concentrato ed andare lungo.

Le ultime piccozzate sono un po’ da gestire, le braccia si sono davvero riempite ma non ero così al limite, ma finalmente riesco a poggiare tutto il peso sui ramponi e posso iniziare a tirare dei respironi per rifiatare. Sono davvero contento di come è andato il tiro! Capisco che è cambiato tantissimo nei 10 anni trascorsi da quando ero qui, ed è soprattutto la testa che è cresciuta, di braccia secondo me ero più allenato allora…

Salgo gli ultimi metri per arrivare in sosta e ringrazio la cordata davanti, che ha aspettato che uscissi per calare le corde e scendere in doppia. Me l’avevano già detto che non avrebbero finito la cascata, in quanto in giro da 3 giorni su ghiaccio e, giustamente, volevano tornare a casa sul presto.

Recupero Jorge e Leo. Jorge sale senza problemi (secondo me l’avrebbe tirata da primo anche lui), mentre Leo è proprio fuori allenamento di braccia e si appende un paio di volte, peccato!

Riparto per un tiro lungo e facile, 60 metri precisi precisi, che mi porta sotto all’ultimo salto di ghiaccio. Qui ci sarebbe l’ultima colonna da salire o un percorso più facile a sinistra. Ma, come scende la guida davanti a noi e arriva in sosta, gli chiedo se ha salito la colonna e mi dice di no, essendo crepata alla base. Faccio quasi finta di fare la faccia dispiaciuta. Certo, sarebbe stata la ciliegina sulla torta, ma non so se ne avrei avuta ancora di benzina nelle braccia per farla! L’ultimo tiro infatti, che sarà un 3+, mi svuota le energie rimaste e, in un punto con pochi metri verticali e pochi piedi, ho quasi la sensazione mi si aprano le mani, più che nei tiri più difficili sotto!

Finalmente, con le corde completamente distese, arrivo al sole e sui piani di Money, che spettacolo! Ci godiamo un attimo il sole e poi giù per le comode doppie. Ho una foto di 10 anni fa, sempre qui al sole, con il vecchio caschetto, il passamontagna di pile e la giacca verde con cui mio zio verniciava a lavoro (non proprio waterproof…). Non ho mai voluto spendere tanti soldi in abbigliamento, per la scalata e in generale, ma, dopo aver fatto l’ennesima doccia in una cascata, ho deciso di pensionare quel vecchio abbigliamento e prendere qualcosa di decisamente più impermeabile. Le piccozze però sono le stesse, ci ho fatto la mano negli anni e continuo ad usare, e sugli agganci di oggi sono andate semplicemente benissimo.

Aspettavo da un po’ il momento in cui mi sarei buttato in fuori, dalla doppia, sul salto verticale, per ammirare tutta la verticalità della cascata. Eh, è proprio così, si rimane un attimo perplessi sul fatto di aver scalato “quella roba lì”.

Le doppie scorrono velocissime e, alla base, troviamo sullo zaino di Jorge il chiodo che avevo inavvertitamente fatto cadere all’inizio del verticale. Per chiodare, togliendo una vite dal portamateriali, non mi sono accorto di aver agganciato anche la testa di una Grivel, che ho visto scendere verso la base un attimo dopo. Jorge trova anche, non si sa come, il moschettone della piastrina che gli era volato scendendo in doppia.

Arrivando in cima alla cascata alle 13:00, non così presto, non siamo nemmeno così presto alla macchina, ma riusciamo ad arrivarci verso le 18:00, con le ultime luci. Come immaginavo già dall’andata, il ritorno è stato bello lungo perché il pezzo in piano non sembra finire mai!

Non ci fermiamo a Cogne per uno spuntino ma partiamo direttamente anche se, prima di Ivrea, perdiamo circa un’ora in coda, per lavori e la tanta gente in giro oltre a noi. Leo smadonna un po’ perché vorrebbe arrivare a casa ad orario di cena, mentre io e Jorge siamo più tranquilli. Io poi sono ubriaco dalla stanchezza e dalla soddisfazione della giornata, che volere di più di oggi!? Arrivo a casa e, ora che metto il materiale ad asciugare, mangio e preparo per il giorno dopo, si è quasi fatta mezzanotte.

Questa è una di quelle giornate in cui vado a letto bello cotto e col la testa svuotata, ma so già che non è una di quelle semplici giornate dove vado a dormire “solo” soddisfatto. L’esperienza infatti è significativa e so che ci metterò qualche giorno a farla mia e rielaborarla. Non tanto per la cascata in sé ma perché posso davvero usarla come paragone per capire cosa è cambiato, da ora a 10 anni fa. Come ultima cosa però non posso che ribadire che la cascata merita a prescindere, è davvero uno spettacolo. Chissà se e quando ci ritornerò? Fra 10 anni magari?

Questo articolo ha un commento

  1. Sonia

    Questo stile di scrittura mi piace e affascina, mi sembra di essere in quei posti e fare quelle “cose” che capisco in minima parte o quasi per nulla.

Lascia un commento