Finalmente INA!

Quest’anno è un bell’anno per me, pieno di progetti e tanta tanta carne al fuoco (non intendo riguardo la montagna, come sempre piacerebbe fare qualche bella ascensione ma ora non sono in ansia nello spuntare una salita dall’elenco di quelle ipotizzate) in vari corsi, concorsi ed altro. L’impegno non è poco ma, finalmente ora di metà anno, qualche tessera del puzzle inizia ad andare al suo posto e qualche preoccupazione in meno inizia ad esserci!

In questo articolo parlerò dell’esperienza che ho avuto nel seguire il corso del Cai per Istruttori Nazionali di Alpinismo (INA) e il superamento del corso stesso.

Partendo da terra terra, per riassumere un po’ anche la figura dell’istruttore all’interno di una scuola di alpinismo del Cai, naturalmente un istruttore (ovvero colui che insegna a degli allievi come arrampicare e muoversi nell’ambiente alpino) deve essere tesserato Cai ed andare per conto suo in montagna.

Perché dico tesserato Cai in primis? Perché il Cai è un’associazione (per inciso la più grande d’Italia) che riunisce appassionati di praticamente tutte le attività che riguardano la montagna, con la netta predominanza di escursionisti, ovvero persone che compiono percorsi a piedi senza l’utilizzo di attrezzature particolari se non una buona gamba, ma anche arrampicatori, alpinisti (in molti potrebbero dibattere sulla differenza delle ultime due categorie, ma tutta aria fritta secondo me), sciatori, speleologi, …

E’ difficile esprimere in poche parole e in modo organico la struttura del Cai. Lasciando perdere alcuni organismi del Cai particolari ma non per questo non importanti (il CNSAS, ovvero il soccorso alpino e speleologico, le Commissioni dei Materiali, che studiano e testano le attrezzature, …) e la gerarchia stessa del Cai (Assemblea dei Delegati, i Probiviri, …) il grosso del Cai è composto dalle Sezioni e dalle Scuole.

La Sezione è l’ente che raggruppa direttamente i soci Cai di una certa realtà territoriale, tipicamente a livello cittadino. Si occupa delle iscrizioni e del cosiddetto “bollino”, ovvero la quota annuale di associazione al Cai, la quale comporta una certa copertura assicurativa negli incidenti in montagna, sconti nei rifugi Cai, la rivista mensile, …

Una Scuola è invece un raggruppamento di persone (istruttori) che offrono dei corsi, nei confronti degli altri soci Cai, che possono essere di alpinismo, arrampicata, scialpinismo, … La scuola quindi prende il nome di scuola di alpinismo, di scialpinismo, … a seconda dei corsi che offre e può offrire.

Scuola e sezioni collaborano e si appoggiano a vicenda, ma non si ha che tutte le sezioni hanno una scuola e alcune scuole “sfruttano” più sezioni, ovvero sono dette intersezionali. Da parte mia, sono iscritto al Cai di Mariano Comense ma la scuola dove faccio l’istruttore è quella di Carate Brianza, una delle pochissime della zona che si basa su una sola sezione, quella di Carate Brianza. Con “basa” non intendo riguardo il corpo istruttori, vedasi il mio caso, ma il fatto che la scuola riceve un contributo dalla sezione per le spese varie di rinnovo dei materiali (corde, moschettoni,…) e altro che la scuola affronta.

Anche se l’associazione è senza scopo di lucro, le scuole hanno un effettivo e serio compito e quindi sono normate (intendo riconosciute da apposite leggi dello Stato Italiano) e hanno, al loro interno, diversi livelli di istruttori e naturalmente una scuola stessa che prepara gli istruttori. In particolare, l’iter per diventare istruttore comporta: in qualche modo conoscere gli istruttori stessi della scuola dove si deve entrare, facendo quindi un periodo di 1-2 anni in “osservazione”, senza quindi poter insegnare direttamente agli allievi ma poter partecipare alle uscite dei corsi (in cui non sono ammessi altri partecipanti oltre ai corsisti e agli istruttori stessi). Il direttore della scuola e la scuola stessa, se approva l’entrata della persona, la inserisce nell’organico come “istruttore sezionale”, che può legarsi con un allievo ma senza ulteriore abilitazione specifica.

Gli step successivi, se l’istruttore ha voglia, tempo e capacità, presuppongono la frequentazione di un corso-esame per diventare istruttore a livello regionale, in cui una commissione regionale apposita esamina, in teoria e sul campo, le qualità dell’aspirante istruttore, e istruttore a livello nazionale, stessa cosa ma appunto a livello nazionale.

Come si collocano queste figure all’interno di una scuola? Sono poi necessarie? Beh, innanzitutto una scuola può essere diretta solo da una istruttore nazionale e un corso può essere diretto solo da un istruttore regionale o nazionale, quindi persone “certificate” dal Cai in merito ad una certa formazione. In più, nell’organico della scuola deve essere presente un rapporto 1:3 fra istruttori titolati (regionali o nazionali) e istruttori sezionali.

Il discorso di istruttori regionali e nazioni vale per tutte le discipline, ovvero esiste la figura di istruttore di alpinismo (quello che sono io), arrampicata libera, scialpinismo, … e sono tutti corsi-esami diversi. E, questo viene di conseguenza, affinché una scuola possa essere chiamata Scuola di Alpinismo, deve avere un direttore che è istruttore nazionale di alpinismo e una serie di titolati regionali di alpinismo, per essere Scuola di Scialpinismo deve avere scialpinisti, … e quindi non può offrire corsi di arrampicata libera a meno che non abbia i titolati giusti per farlo. Spero di essermi fatto capire, almeno fin qui.

Ultima cosa, non va assolutamente confuso il Cai e l’istruttore di una scuola Cai con una guida alpina, proprio no. Il Cai è un’associazione di volontariato (penso siano pagate solo le poche segretarie che ci sono a Roma, visto che l’associazione conta più di 300.000 iscritti e di alcune segretarie a tempo pieno ce n’è bisogno…) e un istruttore opera SOLO all’interno di una scuola Cai e non può offrire un servizio all’esterno, che sia a pagamento o meno. La guida alpina, al momento, è l’unica persona che può portare dei clienti (e appunto vengono chiamati clienti e non allievi) in montagna dietro pagamento. E’ normata dallo stato, ha i suoi corsi appositi e naturalmente staccati dal Cai. Esistono figure che si spacciano per “istruttori Cai” e offrono di accompagnare persone in montagna a pagamento (l’ho sentito in Sardegna ad esempio), ma non c’entrano nulla col Cai e nulla con le guide.

Ho scritto questo perché, dopo che sono diventato INA (niente spoiler, lo sapete dal titolo), ho in mente diversi episodi che mi hanno fatto sorridere, in associazione a me e le guide alpine. Giustamente molte persone conoscono il Cai giusto come nome ma non hanno una reale conoscenza dell’associazione e della differenza di un istruttore con un professionista come la guida. In particolare, uscendo un giorno dal laboratorio di informatica a scuola, un tecnico mi dice subito “ho sentito che sei diventato guida alpina”. Oppure un altro professore che mi ha detto “adesso il prossimo step che ti manca è quello di diventare guida alpina”. No e no!

Anche se il livello di preparazione di una guida e di un istruttore nazionale può essere simile (anche se le guide devono essere complete in tutto, dall’arrampicata allo scialpinismo, mentre nel Cai le discipline sono diverse), e qui sicuramente qualche guida avrà storto il naso, il percorso per ottenere il titolo è completamente diverso e, per una guida, è paragonabile al frequentare un corso universitario. Ovvero il corso e gli esami durano molti giorni, tipo 120, da spalmare su due anni, solo per diventare aspirante. I moduli di esame durano anche 1-2 settimane di fila ma poi ci si deve allenare nel frattempo, … Tutt’altra cosa rispetto al percorso per diventare INA, di cui parlerò a breve. Anche se l’idea naturalmente piacerebbe, or ora non ho minimamente intenzione di mettermi in campo col corso guide, voglio investire nel lavoro di professore (e quest’anno, fra le altre cose, sto effettuando gli esami per passare di ruolo)!

Dopo poco più di 1000 parole sul Cai, e pensare che avevo pensato una piccola introduzione sulle scuole di alpinismo, ecco il mio percorso all’interno della scuola di Carate Brianza.

Ho seguito il corso di alpinismo nel 2009, quindi come allievo, iscrivendomi contestualmente quell’anno al Cai, a cui non ero iscritto prima. Ammetto che non ricordo benissimo l’iter (in particolare le tempistiche) che mi hanno portato ad essere un istruttore sezionale, ho solo il ricordo che ero molto entusiasta di continuare nella scuola ed è stato quasi naturale poi, dall’essere allievo, ad avere un allievo legato con me.

Nel 2013 ho effettuato il corso regionale di alpinismo e ho preso appunto il titolo. E’ stata semplicemente una bellissima esperienza, e per tanti motivi. In primis ho conosciuto molte persone e, con alcune, penso subito a Michele, ho condiviso tante e tante esperienze, sia in montagna che altrove. Questa esperienza ha poi cambiato decisamente il mio modo di andare in montagna. Se prima era sempre un “provare a fare qualcosa in più”, andando per i monti senza reale cognizione di cosa comporta l’essere in montagna, ho iniziato ad essere più lucido e a pensare in termini di sicurezza, soccorso, … E, naturalmente visto il titolo, mi ha permesso di dirigere un corso di alpinismo, cosa che ho fatto negli anni successivi, e sono state tutte bellissime esperienze.

Ho voluto prendere il titolo di istruttore regionale sia perché mi interessava farlo sia perché la scuola aveva bisogno di ossigeno nuovo, ovvero qualche titolato in più, che scarseggiano sempre. Alcuni miei compagni di corso, ad esempio Michele, hanno poi preso il titolo da istruttore nazionale appena hanno potuto e dettati dall’esigenza di dover dirigere la scuola, in quando magari vacante di un reale direttore o con un direttore bisognoso di cambio.

Da parte mia non c’era quella esigenza, anche se qualche mezza idea per il futuro c’è, così ho semplicemente aspettato qualche anno prima di iscrivermi al nazionale. Non avevo nessun pensiero sul dovermi preparare appositamente per il nuovo step, per entrare nel corso bisogna fornire un cv con una serie di salite e si è sottoposti ad una selezione sulla carta, perché già alla fine del regionale mi avevano detto di avere tutte le caratteristiche e il cv per fare anche il passo successivo.

Il 2013 è stato l’anno in cui mi sono laureato, e gli anni dopo sono stati occupati un po’ a lavorare e capire cosa volessi davvero fare nella vita. Quando mi sono sentito un po’ più tranquillo, ovvero nel 2019, mi sono iscritto al corso nazionale, pensando che il 2020 sarebbe stato un ottimo anno per conseguire il titolo. Come tutti, non mi aspettavo del Covid e non mi aspettavo quindi di finire tutto a Giugno 2022! Il titolo dell’articolo quindi non è perché finalmente ho preso la patacca (cosa di cui sono assolutamente contento) ma perché finalmente ho concluso questo capitolo, durato praticamente tre anni al posto di uno, che mi ha occupato sempre un po’ di energie fisiche ma soprattutto mentali, ed era lì ad incastrarsi con gli altri impegni!

Come è articolato il corso-esame? E’ più un esame che un corso, quasi tutti i moduli sono già esami valutati, ma nel frattempo è anche un corso, perché c’è un continuo dialogo con gli istruttori per diffondere una certa idea e omogeneità all’interno di noi allievi, in modo che poi nelle scuole ognuno non pensi di testa sua e le manovre e le tecniche insegnate siano sostanzialmente le medesime!

Più di vent’anni fa il percorso per diventare INA consisteva in due settimane consecutive in estate, una in alta montagna, magari sul Monte Bianco, e poi ci si trasferiva su roccia, magari in Dolomiti. Ora è un po’ cambiato, essendo cambiate sia le stagioni che le esigenze.

In particolare, ci sono 3 giorni introduttivi a Padova, dove c’è la torre del Cai che testa i materiali, per far conoscere noi allievi e dare qualche indicazione del corso. Si hanno poi 3 weekend allungati di esame, ognuno da 4 giorni, di cui il primo su ghiaccio verticale (cascate), il secondo in alta montagna e il terzo su roccia.

Nel mio caso, riassumendo in breve, i 3 giorni di Padova sono stati ad Ottobre 2019 e sono riuscito a fare il primo esame di ghiaccio in Val d’Aosta a Febbraio 2020. In quei giorni si iniziava a parlare di Covid ma non si capiva minimamente il casino che avrebbe portato a breve! In quell’anno, in cui si sarebbe dovuto finire il corso, gli esami successivi non sono stati ovviamente fatti. Passando poi al 2021, in extremis la commissione del Cai ha organizzato gli esami di alta montagna e di roccia, per Giugno e Settembre. A Settembre sono riuscito ad andare, in Dolomiti al Passo Pordoi, ma a Giugno avevo di mezzo gli esami di maturità e ho dovuto saltare il modulo!

Sono così slittato a quest’anno, al 2022, in cui mi sono attaccato, e assieme a me altri compagni del mio corso, ai moduli di esame del nuovo corso nazionale e sono riuscito ad andare all’ultimo esame di alta montagna che mi mancava, sul Monte Bianco. Ammetto che sono rimasto in tensione fino all’ultimo sul partecipare o meno. L’esame è stato fatto sempre a Giugno, e anche quest’anno ho avuto la maturità, ma all’inizio, proprio nei giorni di fine scuola e degli scrutini! Gli scrutini, di fine anno poi, sono una delle attività che non possono proprio essere saltate da un docente, si può fare naturalmente solo dietro cause di forza maggiore, portando un certificato medico ad esempio, ma allora non sarei nemmeno potuto andare sul Monte Bianco! Fortunatamente la dirigenza mi è venuta incontro nel preparare il calendario degli scrutini: il mercoledì, ultimo giorno di lezioni, ho seguito gli scrutini delle 3 quinte che avevo, la sera sono andato a Courmayeur, il giovedì sono salito al Rifugio Torino fino a domenica, e la settimana dopo ho ripreso con le altre classi che mancavano!

Anche se ormai ho già capito che forse verrà un racconto un po’ più lungo di quelli che scrivo di solito, o comunque un po’ troppo lungo per stare in un solo articolo, scriverò comunque tutto qui delle esperienze nei vari moduli. Per alcuni di questi ho dimenticato già alcuni pezzi di giornata, ma le sensazioni in generale sono sicuramente rimaste.

Padova – dal 18 al 20 Ottobre 2019

Come per tutte le nuove esperienze, mi ritrovo una mattina a Padova in mezzo a sconosciuti. E’ bello fermarsi a guardare gli altri, ben sapendo che pian piano ci conosceremo tutti e anzi, a fine corso, sarà un dispiacere separarsi. Questa volta, rispetto al 2013 al corso regionale, ho meno aspettative nel conoscere davvero soci nuovi per andare in montagna, ho già un ottimo giro di amicizie, anche perché questa volta il corso è appunto nazionale e vengono persone anche da molto lontano rispetto a me. Sono però curioso di conoscere persone nuove, con cui so che capiterà sicuramente ancora di collaborare. Per andare a Padova mi sono organizzato con Andrea e Paolo, i due istruttori più vicini a me, per cui già due chiacchiere con loro durante il viaggio le faccio, con argomento di base ovviamente la montagna e il lavoro. Mi sono poi portato due pacchi di verifiche da correggere e, se non sbaglio, mi metto a correggere qualcosa anche durante l’andata!

Siamo sia noi allievi del 42° corso nazionale di alpinismo che del 16° corso di arrampicata libera, il cui direttore è Maurizio Oviglia e, direi quasi ovviamente, andranno in Sardegna per un modulo di esame!

Le 3 giornate scorrono bene, allora non c’erano problemi di distanziamenti, mascherine, … all’interno della struttura e dei laboratori di Padova, che è il centro della commissione dei materiali del Cai. Partecipiamo sia a pesanti lezioni teoriche che bellissime prove di laboratorio, con rotture di corde, moschettoni, … e test di vari materiali. Avevo già visto qualche test di rottura o prove di caduta ma in modo abbastanza artigianale, qui a Padova è tutto molto più dettagliato ed interessante!

Che cosa ho imparato in questi giorni? Beh, che i cordini in kevlar con su l’acido delle batterie tengono un bel po’ ancora, che i moschettoni ripetutamente picchiati e poi testati (nel verso giusto) tengono pure loro, che la sicura dinamica (e fatta bene) dissipa davvero tante forze e, banalmente, un chiodo del cavolo con un cordino vecchio strozzato ha la sua tenuta! Beh, niente di nuovo, il materiale di alpinismo ha tantissima tenuta se usato nel modo giusto, ma vederlo dal vivo altra cosa…

Gli istruttori ci hanno poi parlato dei prossimi moduli di esame e ci hanno detto cosa si aspettano da noi.

Anche se ho scoperto essere una cosa che non viene più fatta, ovvero si lancia un peso al posto della persona, è stato molto interessante buttarsi giù dal ponte di fianco alla torre. Si tratta di una struttura, appunto a ponte, da cui il candidato si butta, ovviamente legato, facendosi far sicura da una persona sotto. E’ interessante perché si vola di un 5-6 metri senza problemi, facendosi poi far sicura praticamente da uno sconosciuto, e si vola nel vuoto senza nemmeno vedere l’ancoraggio sotto, perché nascosto dalla struttura! Il volo era obbligatorio per gli aspiranti del corso di arrampicata libera, facoltativo per noi dell’alpinismo. Qualcuno non l’ha fatto, mentre qualcuno ci ha messo un po’ a mollare la presa e lasciarsi andare, tirando un bell’urlo magari!

Ah, non ricordo bene poi il numero di noi allievi ma siamo nell’ordine dei 25. Di donne purtroppo ce ne sono sempre poche in questi corsi, l’ambiente montano è sicuramente ancora troppo maschilista. In particolare c’è una sola ragazza al corso nazionale, mentre ce n’erano tre (di cui una della stessa mia scuola, Annalisa) al corso regionale.

Val d’Aosta – dal 06 al 09 Febbraio 2020

Ed eccomi al primo esame, di cascate di ghiaccio. Sono tranquillo (o almeno così dico ora, non so se corrisponda alla verità) anche se la preparazione non è stata il massimo. Ho studiato la teoria ma davvero di cascate di ghiaccio di preparazione ne ho fatte solo 3, in una stagione dove poi ne salirò 6 in totale, di cui 2 appunto al corso! Dopo la “classica” Patrì al primo dell’anno, vado per la prima volta a Sertig con un mio compagno di corso, ed infine salgo una cascatella di 2+ in Val Bodengo come ripiego per una salita non riuscita per troppa neve. Questa tutta la mia preparazione!

Questa volta il clima fra i compagni subisce una svolta, essere sotto esame e poter condividere 4 giornate intense ci rende tutti più uniti.

Il primo giorno, giovedì, andiamo a Cogne, sotto la cascata di Lau Bij, a fare manovre. Le stazioni sono diverse, dalla doppia su abalakov ai passi, dalle soste alle manovre di soccorso. Ogni istruttore ha la sua impostazione e tutti sono attenti, anche se naturalmente c’è chi è più o meno pignolo e più o meno rompiscatole. Da parte mia posso dire che l’istruttore presente ai passi su ghiaccio verticale mi fa un mazzo notevole sull’utilizzo della piccozza, secondo il mio parere fin troppo, il resto delle stazioni sono invece più tranquille. Al pomeriggio, quando la cascata va al sole, guardo da una certa distanza un gruppetto di istruttori e allievi che sono ancora alla base della cascata e non mi sembra il massimo, visto che ogni tanto qualche candeletta scende per il caldo! Menomale che si spostano dopo un po’…

Unica nota del giorno, un compagno sbaglia l’avvicinamento e segue un gruppetto di altre persone che stanno salendo a scalare Lillaz Gully e ci mette un bel po’ prima di tornare assieme a noi, un paio di ore praticamente!

Non ricordo la serata ma penso sia stata abbastanza su di giri, il gruppetto dei camuni tiene davvero banco, ma comunque non facciamo tardi, domani primo giorno di esame su cascata vera e propria!

Quando scopro, la sera, che domani sarò su Sogno Realizzato in Val di Rhemes non è che tiri proprio un sospiro di sollievo. La cascata è corta, sono due tiri, ma il secondo è un bel paletto atletico e spesso a petali. L’avevo salita con Alessio diversi anni fa e non me la ricordavo per nulla banale! Allora Alessio mi aveva detto che, la volta prima che era andato per salirla, c’erano un paio di cordate alla base poco convinte di salire la candela, sembrava molto difficile. Era poi arrivato un ragazzino che l’aveva salita con un chiodo solo e aveva i ramponi e le piccozze spuntate! Quando poi aveva capito che era Ueli Steck, le cose si erano chiarite. Beh, diciamo che io non mi sento per nulla Steck quando mi avvicino alla cascata ora.

Sono con l’istruttore Daniele, molto competente ed il responsabile dei quiz della parte teorica, e un altro allievo, il ragazzo con cui ero stato a Sertig. Parte quest’ultimo sulla prima lunghezza, facile ed in mezzo ai medusoni, che porta alla base del pilastro verticale. Gli faccio sicura io e dopo un po’ non lo vedo più. Ammetto che non so cosa dire, ci mette davvero davvero tanto a salire i 30 metri di tiro e a dirmi di mollare. Non commento nulla con Daniele, che comunque sembra un poco spazientirsi. Quando ero a Sertig non avevamo fatto chissà che salite ma, allora, avevo notato che il mio compagno era un po’ troppo lento e insicuro, a giudizio mio, per poter affrontare il nazionale. Anche se si fanno salite semplici, si capisce subito chi si muove a suo agio nell’ambiente oppure no. Alla fine del modulo sarà uno dei ragazzi bocciati e, purtroppo, non si presenterà poi ai moduli successivi.

Davanti a me c’è un’altra cordata, e riesco ad intravedere il primo, un mio compagno di corso, che sale senza problemi il pilastro verticale. Come arrivo in sosta faccio in tempo a vedere l’istruttore che sale dietro da secondo. Improvvisamente, come arriva all’altezza di un grosso petalone e lo aggancia con tutte e due le picche, queste si muovono improvvisamente e scappano di lato, così si trova appeso alle corde! Diciamo non il massimo per me, visto che fra poco dovrò salire da primo quella lunghezza…

Beh, tempo di cambiare le corde e tocca a me, salgo con circospezione i primi metri verticali e faccio non poca fatica a rimontare il grosso petalone, è un bel passo fisico! Il resto della lunghezza è abbastanza verticale ancora ma smolla un po’, arrivo in sosta tranquillo che per oggi è praticamente finita la giornata! Con una veloce doppia siamo alla base e pian piano di ritorno alle macchine.

Per il giorno successivo, il sabato, è prevista per me una salita più didattica, ovvero più facile, dove però si presta più attenzione alla gestione della cordata e delle manovre che all’arrampicata in sé. La meta è Oceano Polare, nel Vallone di Grauson, una cascata tranquilla con un poco di avvicinamento, che in teoria dovrebbe essere poco frequentata ma oggi, fra noi del corso e altre cordate, non saremo in pochi a salirla. Sono in cordata col direttore del corso, mio omonimo, che giustamente mette i puntini su qualsiasi “i”. La giornata risulta quindi più faticosa per la tensione di essere sotto esame che per la cascata in sé, ma è stata una bella occasione per vedere un po’ di cose sotto una nuova prospettiva!

Al ritorno, dopo la solita bella lezione sulla formazione delle cascate di Alessio Bastianello (dico “solita” perché l’avevo già vista al regionale della Lombardia, essendo Alessio del Cai lombardo), siamo tutti cotti e pronti per festeggiare un po’ la sera, il modulo è praticamente finito!

La domenica, ultimo giorno, si finisce sempre presto, entro la mattina, per dare possibilità anche a chi abita lontano di tornare in tempo a casa. Andiamo quindi in una valle laterale (non ricordo più quale ora) per un campo Artva, sempre utile, e poi tutti in albergo a sentire il discorsetto degli istruttori e l’esito del modulo. Nell’arco di un paio di ore, partendo da chi abita più lontano, ci convocano singolarmente per parlare di cosa abbiamo fatto e dell’esito del modulo. La scena più “bella” sono le chiacchiere da bar di un mio compagno che, in attesa come me, parla del corso e di cosa abbiamo fatto. Senza entrare nei dettagli di chi sia o chi non sia, sostanzialmente, da piemontese, sosteneva che un corso nazionale a Cogne non è un corso se non si sale Repentance, che va salita anche solo per gli istruttori che abitano più lontano. Fra noi compagni ci siamo guardati un po’, commentando poco nulla però: ma scusa, valla a salire tu Repentance in sede di esame, se non hanno messo cascate di 5 nel programma perché uno deve andarsi a complicare le cose salendo un 5+, per quanto la cascata sia davvero bella! Boh, in ogni caso mi è sembrata una boutade da fine modulo, una volta che ormai tutto si è fatto…

Finalmente tocca entrare anche a me e i miei due soci di macchina e poi possiamo tornare a casa. E’ stato un bel modulo, sicuramente di introduzione per i due successivi, più seri come manovre e studio, e come immaginavo già si è creato un bell’ambiente fra compagni ed istruttori!

Dolomiti – Passo Pordoi – dal 09 al 12 Settembre 2021

Come dicevo prima, nel 2020 i due moduli mancanti sono saltati per il Covid e sono riusciti ad organizzarli nel 2021, ma non sono riuscito ad andare al modulo di alta montagna a Giugno per la maturità.

In realtà, ad essere sincero, fino all’ultimo non ero sicurissimo di partecipare al modulo di Settembre in Dolomiti: ad inizio mese ci sono sempre le assegnazioni delle supplenze e bisogna andare a firmare il contratto da un giorno all’altro! Questa volta mi va bene, le assegnazioni le fanno pochi giorni prima di partire, vado a firmare a scuola e poi, zitto zitto, me ne vado in Dolomiti 4 giorni! Tanto funziona che, a scuola, si firma e poi si viene letteralmente buttati in classe appena iniziano le lezioni, è lì che si fanno le ossa direttamente e non ci sono mai riunioni o corsi di preparazione (che ne so, magari anche solo per il registro elettronico) prima dell’inizio!

Mi trovo il mercoledì a Brescia coi camuni e si sale verso il Passo Pordoi, dove arriviamo in serata. Non dormiamo ancora in albergo, per risparmiare una notte, ma stiamo in 3 dentro al Caddy del mio compagno di corso. Se qualcuno osserva stranito i miei sandali neri, quelli da battaglia diciamo, perché un sandalo è smangiucchiato, è conseguenza di quella notte! Ovvero ho lasciato i sandali sotto alla macchina, piuttosto che dentro, e deve essere passata tipo una volpe la notte, perché li ho trovati in giro (uno pensavo di averlo addirittura perso) e uno era mezzo smangiucchiato!

Il giovedì e venerdì sono dedicati alla salita di due vie e ai quiz teorici (io faccio anche la parte che avrei dovuto fare sul modulo saltato, finendo quindi tutta la teoria!), nonché qualche lezione extra. Non ricordo bene cosa ora, ma sicuramente abbiamo analizzato la sentenza della valanga di Pila, emessa non tanto tempo prima, argomento su cui si è discusso molto visto che coinvolge il Cai e gli istruttori di un corso di scialpinismo.

Il giovedì sono al Col di Bos, di fianco alla Tofana di Rozes, a salire la Alverà-Menardi. Via tranquilla e, per i miei gusti, anche abbastanza bruttina. Il paesaggio però merita tantissimo e, in cima sul pianoro, ci facciamo tante chiacchiere con calma con l’istruttore della zona, Claudio Sarti.

Il venerdì torno sulla IV Torre del Sella, per salire la Gluck. Dico “torno” perché ci ero stato, nel 2013, a salire la Malsiner-Moroder appena prima del modulo di roccia del corso regionale. Sia quella che questa due belle vie. Sono in cordata con l’istruttore Rubino, un abruzzese molto competente e pignolo e dentro nel Soccorso Alpino, che mi spulcia tutte le manovre! Sull’arrampicata poco da dire, la via è facile, anche se un minimo sono partito in tensione, pensando di far fatica a trovare il percorso, da come mi era stato detto da alcuni compagni saliti sulla via il giorno prima. Quando invece, verso metà via, sento Rubino che dice alla cordata dietro “tanto c’è Curti”, per indicare che salgo bene, mi tranquillizzo. La discesa, in quel canale tutto storto e bello in piedi, scorre senza problemi, e ci troviamo in breve al passo Sella con una birra in mano, contenti della giornata e con attorno il solito bellissimo panorama!

Ed eccoci al sabato, nella parte più impegnativa del modulo forse, ovvero ci si è spostati nella Città dei Sassi per passare, ad una ad una, tutte le postazioni sulle manovre, passi, soste, paranchi, discese in doppia, bilancino… La giornata è impegnativa, bisogna stare sul pezzo per non fare cavolate, ma nel frattempo è una buona occasione per scambiare qualche considerazione con gli istruttori. Da parte mia qualcosa va bene, qualcosa meno, ma procede tutto. Di quella giornata il maggiore ricordo è l’ultima postazione, sulla discesa in doppia da uno strapiombo, in cui ci si doveva fermare a metà discesa, nel vuoto quindi, e risalire le corde per un pezzo, poi riprendere la discesa fino a terra. Essendo per ultimo, ma la postazione era ampiamente in anticipo coi tempi rispetto alle altre, si è formato un capannello di 3 istruttori che mi hanno letteralmente chiesto di tutto e abbiamo fatto una bella discussione su tutto ciò che può riguardare una doppia (sulle longe, corde diverse, vari tipi di freni, …). Quando “finalmente” mi hanno lasciato andare ero completamente fulminato ma felice come una Pasqua, e sono quindi sceso dallo strapiombo in vista dell’istruttore che stava sotto, ovvero il direttore del corso. Se devo essere sincero la manovra di risalita non l’avevo proprio ripassata e non l’ho eseguita da manuale, cosa che mi ha detto anche l’istruttore. Mi sono però fermato un attimo a pensare e, visto il mio background sulle manovre, ho trovato una soluzione che mi ha permesso di risalire la corda senza problemi. In queste manovre di auto-soccorso, secondo me, in primis non bisogna conoscerle e farle pedissequamente rispetto a quanto scritto nelle dispense, ma bisogna avere un’infarinatura su come deve essere fatta la manovra, quali sono i punti deboli e come deve essere garantita sempre la sicurezza, e quindi si può farla anche con qualche variazione, anche solo in base al materiale a disposizione. Chiaro, la pratica aiuta a migliorare le tempistiche di esecuzione e l’efficienza, magari si può saltare qualche passaggio, ma di base deve esserci una conoscenza su cosa si vuole fare e come si vuole operare per risolvere il problema.

Detto ciò, quando torniamo in albergo la giornata non è finita, ci sono i tavoli di recupero di teoria, per chi ha avuto delle insufficienze nei quiz, e i tavoli sui materiali e sulla storia dell’alpinismo, che non sono esami scritti ma orali. Beh, dico semplicemente che vengo assolutamente tritato sui materiali, mannaggia alle fettucce e ai cordini!

Anche se non faccio in tempo ad andare alla postazione di storia dell’alpinismo, e alcuni compagni come me dovranno continuare gli esami la domenica, il modulo è praticamente finito! La sera ci troviamo in una camera a festeggiare e, fra le ore piccole e la grappa artigianale di un mio compagno, al serata si dilunga!

La domenica mi “sveglio” con un bel mal di testa e completamente rintronato. Ci dirigiamo verso Pian Schiavaneis, nell’omonima falesia, per una lezione di artificiale, ovvero come progredire sulle staffe. E’ un argomento che mi piace ma, come quasi tutte le volte in cui si parla di artificiale, poi non è che vengano mai fuori lezioni particolari: qui semplicemente il direttore del corso ha mostrato su un tiro la progressione con le staffe e poi, chi voleva, si è messo in azione. Sono proprio cotto, quando ascolto il direttore che parla mi sembra quasi di ondeggiare e faccio fatica a tenere gli occhi aperti! Menomale che, dopo il secondo tiro fatto su staffe, un po’ di azione mi rimette in moto e mi riprendo anche se, in albergo, prendo un caffè doppio per cercare di svegliarmi un po’ e poter fare in modo decente l’ultimo colloquio che mi manca!

In questi ultimi giorni di esami orali abbiamo assistito allo “spettacolo” di un compagno, una di quelle persone per cui mille volte meglio muovere le mani e fare qualcosa che studiare o parlare in un esame, che si è fatto prendere dalla tensione e tremava come una foglia prima di ogni colloquio, tanto da fare, domenica mattina, scena muta alla domanda “parla di un alpinista a scelta”!

Anche qui, come al modulo di ghiaccio, riunione finale con gli istruttori e comunicazione dell’esito del modulo. Il tono purtroppo è stato molto mesto perché pochi minuti prima della riunione il direttore del modulo è stato raggiunto dalla notizia di un suo carissimo amico, appena morto dopo una caduta sul Pizzo Badile Camuno. Sulla comunicazione generale dell’andamento del corso, visto che una decina, almeno, di miei compagni, hanno terminato e sono diventati INA, non ho voglia di esprimermi qui, ma ho notato una certa acredine e tensione fra gli istruttori, specialmente a riguardo delle salite proposte nel corso. Da parte mia dico solo che l’ambiente del corso regionale, a livello di istruttori, mi è sembrato generalmente mooolto più tranquillo, la scuola nazionale invece mi sembra un po’ più chiuso come ambiente e un po’ di persone che si credono un po’ più del dovuto ci sono. Io, personalmente, non ho avuto nessun problema, però ho solo notato che l’ambiente non è così tranquillo… Capibile la cosa, salendo di livello rispetto alla scuola regionale. Chissà invece gli istruttori delle guide come sono, forse ancora peggio, in quanto lì il livello è ancora più alto e girano un bel po’ di soldi, visto che è lavoro per loro.

L’unica considerazione che esprimo è che trovo incongruo lamentarsi che le salite fatte sono troppo semplici quando, nel corpo istruttori, non sono poi tante le persone che riescono a “spingere” un po’ in montagna. Ok, di sicuro anni fa tanti istruttori hanno detto la loro, ma non si può vivere sui ricordi e poi dire che le salite sono troppo facili. E qui anticipo una cosa, ovvero che sono diventato INA a 34 anni e sono l’istruttore nazionale di alpinismo più giovane della Lombardia, che è poi la regione numericamente più importante per le scuole di alpinismo. E, fra tutti i titolati attivi lombardi, di ogni categoria, che sono poco più di 700, sono comunque uno dei più giovani. Diciamo quindi che un INA, ora che prende il titolo e si fa un po’ di gavetta per entrare nella scuola centrale, quindi diventare lui istruttore degli istruttori, arriva a 40 anni senza problemi, età in cui chiaramente uno può dire la sua ma non è più nel fresco degli anni. Con questo non sto dicendo che la scuola centrale sia composta solo di vecchi (lo so, suona brutto la cosa), ma che l’età media non è così bassa…

Ora che finiamo tutto è inizio pomeriggio e torniamo belli cotti a casa, io contento da una parte ma un po’ in tensione dell’altra perché domani iniziano le lezioni a scuola, e in una nuova scuola per giunta! Finisce un’avventura e ne inizia subito un’altra.

Monte Bianco – dal 09 al 12 Giugno 2022

Per un caso curioso, ora che ci penso, inizio scuola il giorno dopo essere tornato dal modulo di roccia, e il giorno dopo aver finito l’anno scolastico, anzi il pomeriggio in realtà, sono in direzione Monte Bianco per l’ultimo modulo che mi manca!

E’ stato un anno (scolastico intendo, ormai ragiono in quel modo, piuttosto che l’anno solare) impegnativo ma molto bello, sia per scuola che per il resto. Il corso INA è sempre lì nei pensieri ma tante altre cose hanno la priorità, in primis le prove scritte del concorso per diventare professore di ruolo, quindi lo studio e la preparazione non raggiungono chissà che livelli quando mi presento al corso.

Nei mesi precedenti davvero mi chiedo se, anche quest’anno in cui avrò di sicuro la maturità, avendo 3 quinte, dovrò saltare il modulo: sarebbe un casino e non è detto che mi tengano buoni gli altri già fatti! Rimango in sospeso fino a Febbraio, quando almeno conosco le date. Anche se con un calendario un po’ cambiato, questo modulo è il primo modulo del nuovo corso INA, in cui conosco anche un paio di persone che parteciperanno come allievi! Se, da una parte, tiro un sollievo perché non sono date di maturità, dall’altra scopro che sono proprio in mezzo agli scrutini di fine anno. Come ho scritto all’inizio del racconto però, riesco a partecipare!

Nei giorni precedenti, in mezzo al casino di fine anno scolastico, riesco a studiare ben poco; non devo però studiare chissà quanta teoria perché la maggior parte l’ho fatta, ma avrei bisogno di studiare le manovre e i passi che mi chiederanno. Riesco fortunatamente a trovarmi una sera con un compagno di modulo, che inizia il nuovo corso di nazionale, per ripassare i vari recuperi da crepaccio, paranchi, … ma non provo nulla direttamente sul terreno giusto (quindi su neve o ghiacciaio) né faccio una qualche giornata in quota. Gli ultimi giorni che ho pestato neve sono stati 3 giorni a Carnevale, sempre sul Bianco, in cui ho salito un paio di goulotte e fatto una bellissima sciata lungo la Vallée Blanche, ma non ci siamo mai nemmeno legati una volta sul ghiacciaio, essendo i crepi ben chiusi ed essendo sempre con gli sci per avvicinamenti e ritorni. Che comodi devo dire, la prima volta che li uso in quota e davvero è andata benissimo, scalando poi direttamente con gli scarponi da sci.

Vabbé, torniamo a noi. Un po’ di preparazione per la gamba la faccio, che forse nemmeno sarebbe servita viste le salite fatte al modulo. In particolare ricordo una sgambata serale sul Resegone, partendo poco dopo le 20:00 dal piazzare d’Erna e incontrando nemmeno un’anima viva se non tantissimi camosci, e una direttissima al Cornizzolo che mi fa arrivare in cima davvero sfiancato ma contento per il tempo fatto! E il Resegone lo salgo proprio la sera prima di partire, a posteriori non so se è andato bene per la gamba fatta o ho solamente accumulato stanchezza.

Il mercoledì, ultimo giorno di scuola, festeggio con i ragazzi le uniche due ore di lezione, alle 10:00 finisce l’anno. Dopo il solito casino di uscita (con gente che entra in motorino e moto sul campo di atletica…) iniziano subito, in fila, i 3 scrutini di quinta. Finisco verso le 14:00, vado a casa al volo a preparare tutto il materiale (il solito casino di roba, mancano praticamente gli sci e c’è di tutto) e mi trovo con Gigi per andare a Courmayeur, dove arriviamo che piove per bene! Siccome dormiamo in macchina, ci fermiamo al riparo sotto al ponte stradale appena sotto la funivia, pronti per una bella dormita al fresco.

Visto l’allenamento un po’ scarso e il fatto che, per me, questo modulo è il più difficile, ovvero non è facile la gestione di una cordata su tutti i terreni glaciali, ammetto che, nei giorni precedenti, avevo un po’ fatto la danza della pioggia, ovvero del brutto tempo, in modo che facessimo almeno salite semplici, visto che già il resto è complicato. Beh, la danza della pioggia ha funzionato! Ci troviamo verso le 7:30 alla funivia, tanto la prima corsa è alle 8:00, e ritrovo un po’ di soci del mio corso nazionale, saremo 6-7, e i soci del nuovo corso. Non siamo pochi! Ora che arriviamo al rifugio Torino, con la prima corsa, saranno le 10:00 passate, perché attendiamo sia alla partenza che al primo troncone che il vento si calmi per poter salire!

Abbiamo così tutto il tempo di sistemare il materiale e mettere qualcosa nei cameroni. Il direttore del corso, a questo punto, ci dice di iniziare almeno a vedere le legature dentro al tunnel che porta dalla funivia al rifugio, e poi forse usciremo all’aperto.

In teoria “vedere le legature” vuol dire legarsi per procedere su ghiacciaio e farlo assieme ad un istruttore ma, a quanto pare, io e un altro allievo non troviamo un istruttore e direi che non ci facciamo nessun problema a legarci per i cavoli nostri. Dopo nemmeno una mezz’ora si esce, in mezzo alla bufera. Niente di estremo, ma trovarsi a -8° come temperatura reale quando fino alla sera prima ero in giro in maglietta e pantaloncini corti, il vento, la visibilità a meno di 50 metri, … diciamo che non è la sensazione migliore.

Se, all’inizio, pensavo tornassimo subito in rifugio, in realtà ci allontaniamo un po’ verso il Col Flambeaux e subito prima prova di esame col recupero da crepaccio! Non siamo proprio in un crepaccio ma su una terminale, ma il terreno è comunque adatto. Ci dividiamo lungo il crinale e pian piano tutti fanno le manovre di emergenza, e questa volta mi sembra di farle davvero! Non si è tranquilli, al sole magari, con una bella sosta su ghiaccio con due chiodi, ma in mezzo alla neve e al vento, bisogna scavare per bene per fare una sosta decente col corpo morto, i moschettoni si impastano di neve: è una situazione che si avvicina non poco alla realtà!

Torniamo nel primo pomeriggio in rifugio, e qui uno potrebbe pensare doccia subito e poi tranquilli. Invece no, i miei compagni devono fare i quiz di teoria e li vedo ben in tensione, mentre io e un altro allievo del mio corso, Mauro, li guardiamo quasi compiaciuti perché quella parte l’abbiamo passata! Ho detto anche della doccia perché ovviamente in quel rifugio la doccia non è contemplata, dopo 4 giorni però l’assenza di una lavata completa si è fatta sentire, quando sono tornato a casa la domenica mi sono fiondato a darmi una pulita! La domenica mattina poi mi sono svegliato più accaldato del solito, penso facesse davvero più caldo nel camerone, e la sensazione di non essere particolarmente lindo si è fatta sentire…

Anche il giorno dopo, il venerdì, alla mattina il tempo non è il massimo, è molto ventoso ma almeno non nevica, per cui ci portiamo ancora fuori dal rifugio per vedere i passi, l’uso della picca e ramponi, le doppie, … è forse la parte che mi preoccupava di più e di certo non brillo per le spiegazioni, ma l’istruttore è tranquillo! Come cala il vento, sarà verso mezzogiorno, scendiamo un poco a fare la cresta del Petit Flambeaux, proprio il divisorio fra il ghiacciaio del Gigante e la Vallée Blanche. Molto semplice ma carina, anche gli istruttori sono contenti per il panorama! La mattina, e la notte, ammetto di aver avuto un poco di mal di testa, cosa che mi capita in quota pochissime volte, e solo quando sono stanco stanco, ma con l’ascensione mi passa tutto. Poi, da stupido, mi dimentico di mettere la crema solare e ritorno praticamente fosforescente al rifugio, bene!

Il venerdì sera passa tranquillo, con un po’ di chiacchiere e nessun altro particolare appuntamento se non preparare lo zaino e andare a nanna presto. Per il giorno dopo sarebbe prevista una salita un po’ più difficile ma, viste le condizioni, ovvero 20-30 cm di neve in giro e accumuli anche più importanti, non è che conviene osare troppo! Sono con l’istruttore Matteo, un ragazzo giovane e molto alla mano, e andiamo sulla Cresta d’Entreves. E’ una bella crestina, semplice anche lei ma un minimo più difficile di quella di ieri, diventata molto alla moda negli ultimi anni, assieme all’Aiguille Marbrées. Entrambe sono molto ben visibili davanti al rifugio, e molto frequentate da chi si muove per le prime volte in quella zona e da tante guide che accompagnano i clienti nelle loro prime salite in quota. Da parte mia sapevo dell’esistenza ma, per anni, non ho mai nemmeno capito dove fossero (e la Marbrées è praticamente la prima cosa che si vede, guardando verso il Dente del Gigante) perché non le avevo mai considerate interessanti!

Il sabato è una giornata davvero bella, ci prepariamo e partiamo un attimo in ritardo rispetto all’altra cordata del nostro gruppo. Come scolliniamo dal Col Flambeaux vediamo il forte Cedric Lachat fermo sulla traccia per essere fotografato da Manrico dall’Agnola, che avevamo visto entrambi a cena la sera precedente. In questi casi un minimo di soggezione parte, nel vedere questi personaggi, e subito ci si domanda quali super salite vadano a fare quando, molto probabilmente e viste le condizioni, erano in giro a fare solo una pascolata su ghiacciaio per fare foto.

Detto ciò, per salire all’attacco c’è un bel pendione, non ripido ma comunque in salita, di una mezz’oretta. Metto giù la testa e vado, non a manetta ma nemmeno piano, per raggiungere la cordata davanti. Come la recuperiamo Matteo mi chiede subito se abbia voluto fare una corsa. In realtà no, mi sentivo solo bene di gambe!

Siamo i primi di questa mattina, ci sistemiamo un attimo al sole e poi via in conserva corta. Sono molto tranquillo e procedo bene, spiegando ogni tanto al mio istruttore del perché faccio alcune manovre, lo faccio scendere per primo sui pezzettini in discesa, come accorcio o allungo la corda fra noi… Il clima è ottimo e la salita molto panoramica, alcune foto vengono benissimo, e dopo un 3 orette siamo dall’altra parte della cresta, pronti per tornare al rifugio. E’ di poco dopo la metà della salita il ricordo che ho più vivido della giornata stessa e, aggiungo, di tutto il corso nazionale. L’istruttore, ad un certo punto, mi dice semplicemente “Angelo, oggi mi sto divertendo e mi sento tranquillo con te, cosa che non mi capita spesso quando faccio l’istruttore in questi corsi. Si vede che questo è il terreno che preferisci e dove ti muovi meglio”. Mi fermo un attimo, un po’ imbarazzato da una parte e contento dall’altra, rispondendogli che no, questo tipo di salite, in conserva corta, non le reputo il terreno dove mi muovo meglio, ma capisco che l’esperienza che ho gioca a favore. E, pensando fra me, mi dico che la tranquillità è di sicuro una delle sensazioni che riesco a trasmettere meglio agli allievi. Magari posso spiegare quello che faccio, oppure semplicemente salire se non ho dall’altro capo della corda un allievo recettivo, ma riesco sempre a farlo sentire tranquillo (perché in primis io sono tranquillo), cosa che ha un effetto sicuramente positivo sulla giornata.

Il ritorno al rifugio prevede il solito pendio spaccagambe che risale al Col Flambeaux, ogni volta una faticaccia! Visto che mi sento bene ed è presto, propongo a Matteo di andare su abbastanza a manetta, perché non sfruttare questa occasione in quota per allenarci un minimo!? Come puntiamo la salita inizio a spingere un po’, il cuore si sente subito che sale di ritmo e si inizia a sudare, visto che siamo in pieno sole! Matteo è dietro, lontano da me una decina di metri, e segue bene, la corda non si tende mai. E’ una bella faticata ma sono contento quando, appena un attimo cambia la pendenza e questa diminuisce, pure aumentando un pelo l’andatura, il battito man mano inizia a calmarsi. Un po’ di allenamento c’è!

Torniamo tutti presto al rifugio e quindi gli istruttori decidono di anticipare la prova Artva prevista per la mattina successiva. Sono contento che la si faccia, è un paio di anni che non ne faccio una ammetto. Gli istruttori hanno organizzato, sul piatto ghiacciaio del dente del Gigante, un campo largo una settantina di metri e un po’ più lungo, delimitandolo con delle bacchette per simulare il fronte di una valanga, seppellendo poi 2 Artva in punti diversi, il primo da cercare e marcare, per passare poi al secondo. Noi siamo tutti in rifugio e piano piano tutti i miei compagni fanno la prova, rimanendo io per ultimo visto che non ho particolare tensione addosso. Quando tocca a me, mi impegno per bene e corro come un matto. Sì, effettivamente la zona degli artva sepolti è anche visibile, visto che non li hanno mai spostati, per le numerose impronte, ma quando si corre si segue l’apparecchio di ricerca e si vede la zona calpestata un po’ solo alla fine. Siccome poi sono l’ultimo, come immaginavo, mi fanno scavare fuori i dispositivi sepolti, cosa che non hanno fatto i miei compagni.

Come finisco la prova, saranno circa le 17:00, sono un po’ scosso, perché capisco di aver finito l’esame e il corso nazionale, anche perché qualche istruttore mi fa già i complimenti e mi chiama “collega”. Torno al rifugio con un bellissimo sole e già gli altri compagni sono sui tavoli della terrazza con una montagna di bottiglie di birra vuote davanti! In questi giorni, alla fine, penso di aver bevuto più birra che acqua. Mi aggrego a loro e subito l’altro compagno di corso, Mauro, che finisce come me il corso, mi dice “guarda Angioletto come è rilassato, si vede che ha finito!”, e mi si allarga un sorrisone in faccia.

Dopo un attimo arrivano anche gli allievi e istruttori della mia scuola di alpinismo, di Carate Brianza, che appunto hanno una uscita del corso anche loro sul Bianco. Oggi hanno fatto un po’ di manovre su ghiacciaio, domani faranno la traversata fino alla parte francese e saliranno alla Pointe Lachenal. Ad un certo punto compare pure Dani Arnold, c’è in giro un po’ di gente forte al Torino in questi giorni!

Durante la prova Artva e nella serata successiva ci sono stati un po’ di rumori fra alcuni compagni, alla fine in quasi tutti i moduli c’è sempre qualcuno che avrebbe voluto fare qualcosa di più. In questo caso quasi posso capirli, visto che alcuni non sono mai stati in zona e vorrebbero fare qualche salita carina, per cui propongono agli istruttori di lasciare la domenica mattina libera, visto che manca solo di riunirci per comunicare l’esito del modulo. Qualcuno si spinge anche più in là, dicendo che avrebbe voluto che ci testassero su salite più difficili, che non ha trovato un gruppo di istruttori che osa, … Boh, questa cosa non ho particolarmente voglia di commentarla, dico solo che salite come la Nord della Tour Ronde, la Cresta Kuffner, … le hanno salite solo la domenica, i giorni precedenti erano un po’ tanto piene di neve ancora e nessuno ci ha messo piede.

Da parte mia, certamente un po’ egoisticamente, di salite in zona carine ma fattibili in mezza giornata ne ho fatte diverse, quindi non ho particolarmente voglia di una sveglia ancora presto la domenica, ma rimango d’accordo con Gigi, che non era mai stato qui, per fare qualcosa se viene fuori l’occasione. Bene, dopo un po’ comunque gli istruttori allontanano ogni aspettativa dicendo che preferiscono comunicare gli esiti domattina, essendo anche questo un momento formativo del corso.

Ed eccoci all’ultimo giorno. Dopo sveglia e colazione con calma, siamo tutti in riunione per le comunicazioni e discussioni di fine corso, che risultano non poco ampie, poi pian piano ci chiamano uno alla volta per comunicare e commentare il risultato del modulo. Vanno in ordine alfabetico ma capisco che io sarò fra gli ultimi perché vengo subito saltato. Dopo un bel po’, come penultimo, finalmente è il mio turno ed è il momento dell’applauso finale! Stessa cosa a Mauro, dopo di me, diventato nazionale anche lui. Dopo complimenti vari dati e ricevuti, qualche allievo si prepara e si mette in cammino sul ghiacciaio per fare una piccola ascensione, con l’occhio all’orologio per prendere l’ultima funivia.

Io e Gigi ne abbiamo abbastanza, saranno circa le 11 quando prendiamo gli zaini e scendiamo in funivia. Qualche altro allievo e istruttore si ferma in zona a mangiare ma noi preferiamo tornare verso casa, facendo un pezzo di statale, fino ad Aosta, come all’andata, per evitare il solito salasso dell’autostrada dell’ultimo tratto valdostano.

Se, magari i giorni prima, pensavo di finire il corso in modo forse euforico, in realtà mi trovo in una bolla tutta mia. Sto realizzando di aver appena finito il corso nazionale e di aver finito la scuola per quest’anno, per oggi meglio lasciar fluire i pensieri e le sensazioni. Se ne accorge anche Gigi, che un po’ in bolla è anche lui. A parte un paio di messaggi non tocco nemmeno il cellulare: meglio farlo domani, quando mi sarò innanzitutto un po’ più riposato e sarò soprattutto un po’ fuori da questa bolla e voglioso di comunicare col mondo!

E ora, di questo titolo che me ne faccio? Non l’ho preso per avere una patacca da attaccare al giubbino, vorrei utilizzare il risultato raggiunto, senza particolare fretta comunque, e lo si può fare in due modi: facendo il direttore di una scuola di alpinismo e mettendosi in scuola, o regionale o centrale, ovvero fare l’istruttore degli istruttori. Un po’ di pensieri e idee ci sono, chissà cosa si concretizzerà nei prossimi anni!

Beh, complimenti davvero se siete arrivati fino a qui, solitamente i miei racconti sono da 2000-3000 parole, mentre questo ne ha quasi 9000! Mi è venuto in mente di spezzarlo ma poi ho deciso di lasciarlo così: è stata una lunga esperienza il nazionale, perché non anche qualche parola che lo riguardi!?

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